L’acqua sul volto le dava fastidio, sentiva il gelo penetrarle le ossa, non ricordava cosa ci facesse lì, al freddo sotto la pioggia e con il volto nel fango. Si concentrò e i ricordi iniziarono ad emergere piano piano, si mise a sedere cercando di ripararsi il più possibile e si guardò intorno per accertarsi di essere momentaneamente al sicuro. Si tranquillizzò quando si rese conto che era circondata solo da alberi. Attese che spiovesse per riprendere il cammino, non sapeva in che direzione andare ma doveva raggiungere la strada principale, di sicuro nel bosco nessuno l’avrebbe ritrovata, ad eccezione di qualche animale, quindi si fece forza ed iniziò a muoversi tra gli alberi tenendo sempre l’orecchio teso per percepire qualsiasi rumore.
Lo stomaco brontolava per la fame, aveva sete ed era stanca, tanto stanca. Nella corsa aveva perso l’orologio per cui non sapeva neanche che ora fosse, si sentiva disperata ma un sorriso quasi isterico le illuminò il volto quando vide in lontananza la strada, sentiva che le forze la stavano abbandonando di nuovo ma l’unica cosa che doveva fare era camminare e sperare di raggiungerla, sperare che qualcuno la trovasse, sperare che qualcuno la soccoresse.
Era in stato di dormiveglia, le sembrò di vedere un uomo e gli alberi che si muovevano, forse era in un auto, forse era stata rapita, forse quell uomo sarebbe stato il suo assassino o il suo salvatore, esausta preferì chiedere gli occhi ed attendere la sua sorte qualunque essa fosse stata.
Si sentiva tutta intontita perché la mano sulla bocca le impediva di urlare, muoveva la testa in continuazione a destra e a sinistra per cercare di liberarsi ma la stretta era forte, le sembrava di soffocare era tutta sudata. Appena Willy tolse la mano, urlò con tutto il fiato che aveva in gola e con tutte le sue forze. Ogni notte aveva sempre lo stesso incubo, si alzò e iniziò a camminare per casa per scaricare le tensione.
Era trascorso 1 mese da quell’ orrenda avventura. Era riuscita ad arrivare sulla strada, un autista l’ aveva soccorsa e portata i ospedale dove l’avevano rimessa in sesto, curata e coccolata perché tutti erano rimasti scossi da ciò che le era successo. Si era ripresa fisicamente ma non psicologicamente, aveva gli incubi ogni notte: la mano di Willy premuta sulla sua bocca che le impediva di urlare. Non avevano rintracciato il suo assalitore, lo avevano però identificato. Un ragazzo di 30 anni che aveva ucciso la sua ragazza e si era poi sbarazzato del cadavere gettandolo nel fiume. Quasi sicuramente, quando lo aveva incontrato e caricato in macchina, si era appena sbarazzato del corpo. Ancora non riusciva a credere di aver scampato il pericolo di essere uccisa, si essere a casa sua sana e salva. Doveva calmarsi perciò tornò a letto e, nonostante faticasse a prendere sonno, alla fine si appisolò.
Jenny sentiva la mano premerle sulla bocca, cercava di urlare ma quella mano impediva alla sua voce di uscire. Iniziò a dimenarsi, a girare la testa velocemente a destra e a sinistra, iniziava a sudare. “È solo un sogno ora mi sveglio e tutti sarà finito”, pensò per rassicurarsi. Continuò a dimenarsi e cercò di aprire gli occhi per svegliarsi ma l’incubo continuava, anzi la mano premeva sulla sua bocca ancora di più mentre con l’altro braccio le bloccava il corpo per farla stare immobile. Stavolta non riusciva a svegliarsi, il cuore aumentò i battiti e due occhi freddi la guardarono: “Non sono un sogno ma realtà”. In quel momento, Jenny si rese conto che non stava sognando ma davvero quell’uomo, che lei conosceva con il nome di Willy, era nella sua casa, nella sua camera. Lui la obbligò ad alzarsi e la guidò in soggiorno, a nulla valse il suo tentativo di opporsi rifiutando di camminare, lui era più forte e la strattonava. Vide in soggiorno il vetro del portafinestra rotto all’altezza della maniglia, la tenda sventolava a causa del vento, faceva freddo, l’aria in casa era gelida e lei indossava solo la camicia da notte. Aveva paura e non voleva camminare, al suo ennesimo tentativo di opporsi, con uno strattone la lanciò sul pavimento. Jenny cadde con le mani ed il viso sul vetro, si vide sanguinare. Lui si chinò e la prese per i capelli tirandole la testa all’indietro. “Non avrei voluto farti del male ma non posso lasciare una testimone, se non avessimo incontrato l’auto della polizia me ne sarei andato e non avresti saputo più nulla di me invece eccomi qui a terminare il lavoro”, le disse all’orecchio con voce bassa. Jenny chiuse gli occhi non sapendo cosa le sarebbe successo mentre si agitava testò sotto le sue mani la presenza di un pezzo di vetro. Lo afferrò e, quando lui la girò, lo colpì con una violenza tale che Willy indietreggiò portandosi contemporaneamente la mano sulla spalla per fermare il flusso di sangue che fuoriusciva a fontanella. Jenny non si arrese e gli si scaraventò contro continuando a colpirlo fino a quando lui cadde a terra, morto.
Dopo aver chiamato la polizia, si guardò allo specchio: aveva il viso e le mani pieni di tagli e sporchi di sangue, aveva le occhiaie per le notti insonni, i capelli scompigliati perché lui glieli aveva tirati ma nonostante tutto era felice, felice perché quel brivido di paura, che non l’aveva mai abbandonata, ora era scomparso.
The end
Giovanna Viola alias@GViola16
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