Così si era fatta piccola piccola, come un gomitolo. Stava seduta per terra, in un angolo e dietro le ante dell’armadio, appena sull’uscio della porta e stesa sul letto. Erano pieni gli occhi di lacrime zitte; piangevano tanto i suoi occhi e le sue parole non riuscivano a parlare. In nome dell’amore, in nome dell’amore. Dov’era l’amore? La casa aveva tante vetrate ed era bianca ma gli spazi non si allargavano, nessuna illusione ottica avrebbe potuto funzionare. Era tenera lei, lo si sarebbe capito subito; eppure lui continuava a sgridarla, a spiegarle gli errori, le colpe, le mancanze. Lei pensava alla banalità del male, a come fosse sempre dietro l’angolo, a come avesse sembianze tutto sommato normali. Fatti più piccola, più piccola. Gliela avrebbe detto la sua mamma e se fosse stata lì l’avrebbe portata via, dalla cattiveria, dalla violenza della mente, dalla psiche subdola del matto. Mamma, mamma! Al ritornello di una canzone, al pensiero di domani: a quello provava a tendere le mani, al profumo del latte. Diventava piccola, piccola come un gomitolo. Tagliare il filo, sciogliere il nodo, spegnere le fiamme. Lo avrebbe fatto. Prometteva tutto al Signore, tutto.
Si abbassano tutte le maniglie. È davvero grande la casa ora che l’orco è uscito. Eccola lì, la sua mamma. Mamma, mamma! Grazie. Quanti gomitoli bisogna diventare per non morire.
Alessandra Corbetta