Dove porta il vento – parte seconda

All’improvviso i due si rizzarono in piedi, le sbarrarono la strada, allargarono gli arti a descrivere una ics, le loro mani si toccavano quasi, il loro sguardo era beffardo; iniziarono a saltellare unendo i piedi e poi tornando alla posizione originaria, sembrava stessero facendo un esercizio fisico, ma quest’impressione era contraddetta dal ghigno, non si stavano sforzando, ridevano in tono canzonatorio.

  • Non hai paura di noi, disse quello che sembrava un uomo.
  • Eppure ne avevi, disse quella che sembrava una donna.
  • Non ho paura di voi, rispose ad entrambi, trattenendo la voglia di fare pipì.

Passò in mezzo ai due, con le braccia li spinse a lato, nel varco ci passò comoda, anche se l’andatura incerta tradiva il terrore che provava.

Si girò, sembrava che quei due si fossero dissolti, allora si rincuorò, riprese il cammino, seguì un profumo che proveniva da qualche appartamento del piccolo edificio di fronte, le luci erano spente. Attraversò la strada evitando che per un soffio un furgone la centrasse in pieno.

Il portone era solo accostato, una musica proveniva dall’appartamento a piano terra, cercò l’interruttore dell’androne senza trovarlo. Accostò l’orecchio alla porta, la musica cessò ma non il profumo di arrosto.

Lentamente entrò nell’androne, le spalle accostate alla porta, le mani tese in avanti per individuare gli ostacoli. La musica era cessata ma nella sua mente continuava a suonare, conosceva quella melodia, l’aveva già sentita, sembrava quella del vecchio carillon della nonna.

Il profumo di arrosto era sempre più forte, l’aroma del rosmarino e della salvia le era penetrato nelle narici, sentiva quasi il sapore in bocca, aveva fame adesso. Procedeva quasi ad occhi chiusi lasciandosi guidare dal quel profumo che ormai era parte di lei. Arrivò davanti alla porta in fondo al corridoio, ora sentiva nuovamente la musica.

La chiave era nella serratura, nella semioscurità riconobbe il portachiavi, una ballerina col tutù rosso, non ho paura, non ho più paura si disse. Con un gesto deciso aprì la porta.

Quello che vide la lasciò senza fiato.

La tavola era imbandita, come per un giorno di festa, centrotavola, posate di quelle che si usano solo in occasioni speciali, bicchieri di vetro artigianali, bellissimi, colorati e leggeri come una piuma.

I suoi genitori erano seduti rigidamente con le mani sulla tavola, l’uno a fianco dell’altra, lui con ancora indosso il suo cappello, lei con quel vestito che la faceva sembrare una prostituta parigina.

I due fratelli gemelli dall’altro lato, nei loro ridicoli costumi attillati da ballo, con le maniche troppo corte, che indossavano quando avevano dieci anni, una mano sul tavolo, l’altra stretta tra loro.

La vecchia irruppe in cucina con una zuppiera fumante, guardò la nipote.

  • Hai lavato le mani?
  • Nonna, quel che ho sulle mani non andrà via.
  • Non ci pensare, siediti, godiamoci la cena.

La nonna iniziò a versare il contenuto nei piatti, iniziò dal capofamiglia, poi la moglie, passando per i nipoti si servì per ultima.

  • Non pensavo che tu volessi festeggiare.
  • Infatti, non è una festa, è il loro funerale.
  • Riuscirò mai a togliermeli dalla testa.
  • Forse, quando avremo finito li seppelliremo, non solo fisicamente, anche nella tua testa dovrai farlo.
  • Nonna, perché li ho uccisi?
  • Questo non lo sapremo mai.
  • È come se fossero ancora vivi nella mia testa.
  • Lo saranno sempre. Nel bene e nel male.
  • Impazzirò!
  • Sei già pazza, come me. Io e te siamo della stessa pasta, non ci piacciono certe persone, anche se tua madre l’ho partorita io. Aveva il male dentro, lui poi non l’ho mai sopportato. I tuoi fratelli, così appiccicosi l’uno con l’altra, non esisteva nulla oltre loro.
  • Nonna, e se lo scoprono?
  • Nessuno lo scoprirà. Ora mangia, la carne non è un granché, ho fatto del mio meglio, ma sono morti da troppo tempo.
  • Nonna sei sicura che sia la cosa giusta da fare?
  • Certo cara, ti ho mai detto bugie? Ti ho mai delusa?

Si sedettero a tavola, consumarono la cena in silenzio, ogni tanto si cercavano con gli occhi, cercavano conferme e certezze. La stanza piano piano si riempiva di luce, il carillon aveva ripreso a suonare. Ora la musica era cambiata, allegra leggera…

Al tavolo erano rimaste solo lei e la nonna, i fantasmi del passato erano finalmente svaniti, forse per sempre.

by @danpuzzle72 e @Conte27513375

Condividi

Leave a comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.