Si scrive per raccontarsi.
Per dire ciò che si è, il proprio pensiero, la propria vita. Perché non tutto ciò che si sente dentro, si riesce a rivelare parlando, usando gesti verbali e linguaggio non verbale. E, fin dalla tua infanzia, se sei stato fortunato, ti sei ritrovato tra le mani un tesoro, appunto l’arte di raccontarti traducendo il tuo sentire in carta e inchiostro (oggi, la tecnologia ti aiuta con il linguaggio virtuale).
Allora, senti che la naturale inclinazione a buttare giù parole, frasi, idee non puoi non praticarla se non scrivendo, rendendola intellegibile a tutti. Perché scrivere è comprendersi, è farsi comprendere.
Scrivere è piacere ascoltarsi, mentre ti leggi. Mentre leggi ciò che, a braccio, ti viene di dire, di proclamare, di confidare a te stesso, prima ancora che al mondo intero. E senti, mentre lo fai, che le parole che ti arrivano e che arriveranno a chi ti legge, altro non sono che l’ennesimo tassello che vale a raccontare, ancor una volta e di più, il mondo al mondo.
Si scrive.
E la prima cosa che mi viene in mente, è il tempo in cui si usava scrivere lettere, lettere d’amore. Come, ad esempio, il primo foglietto accartocciato e gettato sotto il banco della più bella della classe quando, fin dalla prima gioventù, le si voleva lanciare un pensiero carino o addirittura una dichiarazione d’amore, su quel foglietto strappato dal quaderno a quadretti. Senza farsi vedere dagli altri. Quasi per arrivare prima che suonasse la campanella della ricreazione, quando i più audaci tentavano l’approccio con la più bella (che di solito era anche la più brava), tra il divorare un panino e il chiederle pretestuosamente la soluzione di qualche compito di matematica, non saputo eseguire.
Oppure, sudare per scrivere un tema scolastico, quando stranamente non trovavi mai le parole e le proposizioni giuste, anche se avevi tutto il discorso stampato nella mente. E ti capitava di faticare per organizzare bene la struttura del tema, il “cappello”, lo svolgimento e la sua chiusura. E poi, magari, se dovevi scrivere un articoletto per il giornalino di istituto, ti veniva tutto facile, scorrevole, comprensibile, sfizioso.
Scrivere, già. E riscoprire il gusto di farlo anche nell’era digitale. Quando hai sostituito la penna e il foglio di protocollo con la tastiera e il file “word”, e la gomma con il tasto “backspace”. Oggi è più figo farlo così. E’ uno spasso, per chi ne ha la voglia e la passione.
Scrivere è un’arte povera, per chi lo fa per diletto. Non guadagni nulla ma sai che stai dando qualcosa di tuo a chi ti vorrà leggere, che può rimanere impresso. E che può anche servire al suo bene, quando nel tuo testo riesci a raccontare la vita. La vita, l’unica vera cosa che conta, nella nostra storia.
Beniamino D’Auria
alias @_Belcor_