Tra ottobre e novembre 2010 viene condotta, attraverso tre diversi laboratori, in tre classi di due istituti superiori di Modena, la Campagna “Immagini amiche” avente come obiettivo quello di rendere ragazzi e ragazze più consapevoli e critici nei confronti dell’immagine pubblicitaria ritraente il corpo femminile.
La Campagna segue le orme della risoluzione n° 2038 del 3 settembre 2008 in materia di Impatto di pubblicità e marketing sulla parità tra uomini e donne, con cui il Parlamento Europeo ha invitato gli stati membri a rinunciare a quelle politiche pubblicitarie che, mediante gli stereotipi di genere, allontanano ulteriormente l’allineamento delle pari opportunità tra uomini e donne.
Nel 2012 esce per Fausto Lupetti Editore un testo ben strutturato e ricco di spunti che rendiconta l’attività e l’esito dei laboratori condotti da Serena Gibbini Ballista e Judith Tissi Pinnock, autrici tra l’altro del saggio.
Questo articolo non vuole essere una recensione del sopra citato testo, né un reportage della Campagna svolta, ma vorrebbe, oltre che segnalare l’esistenza e l’importanza di un lavoro di tale portata, mettere in risalto alcuni aspetti fondamentali legati all’immagine della donna nella sua rappresentazione pubblicitaria.
La proliferazione di immagini a cui siamo costantemente sottoposti e che ha generato intorno a noi un habitat in cui siamo talmente immersi da non riuscire più a valutarlo criticamente, rappresenta un elemento caratterizzante la società contemporanea e che, dunque, dovrebbe saper esser approcciato e analizzato con gli opportuni mezzi, per evitare che l’immersione, già di per sé gravosa, non confluisca in un annegamento globale.
Le immagini pubblicitarie giocano certamente, in questo contesto così definito, un ruolo centrale, non solo perché si sono estesi e hanno mutato di forma gli strumenti con cui la pubblicità viene realizzata, ma anche e soprattutto perché l’affievolimento (se non addirittura scomparsa, sicuramente ridefinizione) del limen sfera pubblica/sfera privata e l’accostamento delle micro-celebrities alle macro-celebrities rende potenzialmente ciascuno di noi fautore di una campagna pubblicitaria, avente magari come oggetto proprio se stesso.
Protagoniste della pubblicità sono, in moltissimi casi, le donne e il loro corpo, elementi che dovrebbero essere convergenti e univoci ma che divengono, invece, parti distinte e disgregate, oltre che sovra adoperate, poiché a esse si ricorre anche quando il nesso con l’oggetto della pubblicità è assai latente.
Gibbini Ballista e Pinnock portano fin da subito i ragazzi, mediante i laboratori svolti, a una distinzione tra l’immagine amica, quella che cioè rappresenta con rispetto e dignità la donna, e l’immagine nemica con la quale vengono, invece, perpetrati e rafforzati gli stereotipi sessisti di genere.
Un’immagine è amica quando rappresenta donne reali nelle quali è davvero possibile riconoscersi e che mostra canoni estetici diversificati; in altre parole quando, seguendo la definizione proposta nel saggio, “per rappresentare un soggetto femminile o alludere o far riferimento a esso, si tiene conto della sua dignità umana e della sua complessità esistenziale”.
Un’immagine è, invece, nemica nel momento in cui “il soggetto femminile rappresentato è appiattito su modelli fisici e/o comportamentali che, oltre a privarlo della sua complessità interiore, lo inchiodano a ruoli tradizionali o storicamente imposti”.
Sarebbe auspicabile, per ragioni di ordine innanzitutto culturale, che ognuno di noi di fronte alle immagini con cui entra sovente in contatto, si soffermasse e, al posto che assorbirle acriticamente lasciandosi in taluni casi anche schiacciare, compisse una rapida analisi fuoriuscendo dallo stordimento emotivo che le immagini, soprattutto pubblicitarie, sono in grado di generare.
Il modello pubblicitario odierno infatti, nella maggior parte dei casi, rafforza in maniera silente ma incisiva presupposti di emancipazione femminile negativa in cui l’unica possibilità offerta alla donna per avere successo sembra essere quella di puntare tutto sul proprio corpo e sulla propria avvenenza fisica tralasciando, da una parte tutta la sfera emotiva, di competenze e passioni di cui ogni donna è in possesso e, dall’altra, tentando di travalicare gli eliminabili vincoli del tempo che passa, della possibilità di malattie o episodi in genere che possono alterare la componente estetica.
È una battaglia che dovrebbe essere condotta da tutti, ogni giorno, ma soprattutto dalle stesse donne affinché, all’interno della libertà di cui oggi possono godere nella società contingente occidentale, scelgano e si indirizzino verso la libertà vera che non è eliminazione totale delle regole, né promiscuità sessuale né perseguimento esclusivo del modello “velina”, come viene definito nel saggio, ma che dovrebbe essere ritorno alla dimensione intima e olistica della persona e ripresa di valori comportamentali e relazionali che sono possibilità e non limiti.
Fermarsi. Studiare. Leggere. Capire. Guardarsi criticamente intorno. Riflettere. Confrontarsi. Ribellarsi. Vivere, davvero. Con bellezza, certo, e anche tutto il resto.
Alessandra Corbetta