Ah, l’Italia… terra di navigatori, esploratori, allenatori, patria della pizza e del mandolino ma anche storica fucina di furbetti che quotidianamente tentano di uccidere la nostra idea di cucina tricolore: accanto a ristoranti/pizzerie/paninoteche degni/e di tal nome fioriscono locali acchiappa turisti e pseudo ristoranti che dovrebbero essere circondati dal nastro “crime scene” come nei telefilm polizieschi.
Ci sono cose che non capisco quando vado in un ristorante; o meglio, ne capisco le ragioni ma non le condivido se è vero che non riguardano tutti i ristoranti e che, in teoria, quando si mangia fuori si vorrebbe essere un po’ coccolati.
Alcuni gestori, invece, non mostrano né rispetto per il servizio offerto né passione per la cucina. Passione. Ci vuole passione anche per fare il proctologo, figuriamoci per gestire un ristorante. Col vantaggio che al ristorante le persone vanno col sorriso.
La pulizia del bagno
Quando entro in un ristorante, la prima cosa che faccio dopo aver ordinato è andare a lavarmi le mani ed è piacevole uscire dal bagno senza dover pensare a quando ho fatto l’antitetanica. Ed è gradevole non doversi muovere come ninja cercando di non toccare nulla come se dovessi scansare gli aculei della Vergine di Norimberga. Diciamocelo: quando non percepiamo quell’odore tipico del bagno dell’Autogrill, ci siediamo a tavola con tutto un altro spirito.
Il menu chilometrico
Trovarmi davanti pagine intere di antipasti, primi, secondi e contorni mi spiazza. O il locale ha disposizione un assortimento di materie prime che in confronto la borsa di Mary Poppins è vuota come il cervello di certe persone, oppure tanto vale che invece del menù mi si serva il catalogo dei Quattro salti in padella. In questi casi scegliere il piatto sembra una partita a Pokemon Go. Apprezzo che mi si indichi la lista degli allergeni, ma oltre all’asterisco per segnalare cibi che potrebbero essere congelati gradirei un teschio per evidenziare quelli che potrebbero uccidermi perché preparati e congelati eoni or sono e magari conservati chissà come. Quando il cameriere conferma che si tratta di prodotti di stagione magari dovrebbe specificare “quale”. Probabilmente la stessa della pestilenza del 1630.
L’antipasto misto “faccio io”
Capita spesso che, prendendo le ordinazioni, i camerieri chiedano: “Vi porto un antipasto misto? Faccio io?“. Se siete numerosi, noterete nella loro espressione il ghigno mefistofelico di chi ha capito che sta per fare il budget mensile. No, non facciamo scherzi: o l’antipasto ha nome e cognome oppure quello che vi troverete davanti rischia seriamente di essere un guazzabuglio di avanzi di sott’olio/sottaceti, salumi vinti al tiro a segno o insalata di mare che se avanzasse verrebbe riciclata come pessima pasta allo scoglio il giorno successivo. Perché in certi posti il “non si butta via nulla” viene preso un po’ troppo alla lettera. Questo gradevole antipasto, oltre a volteggiare nel vostro intestino come Cassina alla sbarra, inciderà sul conto come l’aragosta del cenone di capodanno ad Ortisei. Pagare per credere.
Alla prossima settimana per altre piccole riflessioni!
Lello