Sei stato un neonato, un bambino poi un ragazzo e – infine – un uomo. Sei cambiato continuamente nel corpo, nei pensieri, nelle emozioni. Nessuna di queste condizioni è rimasta con te. Chi è che sta osservando tutto questo? Cos’è questo continuum che ti fa dire sempre e comunque “io”?
Nella sua funzione ordinaria la mente crede di essere parte di ciò che osserva. In questa identificazione la coscienza dimentica la propria vera natura e crede di essere il corpo fisico, un’emozione, un pensiero o un oggetto visto. In questo modo si lascia trascinare dall’incessante flusso di impressioni che le scorre davanti in una successione senza fine. Come se il pilota ritenesse di essere un tutt’uno con l’auto che guida.
Tuttavia se esercitiamo un’attenta osservazione interiore, scopriremo di non essere il contenuto mentale perchè – potendolo osservare – non possiamo esserlo. Come lo schermo di un cinema permette lo sviluppo del film ma non è nessuna delle innumerevoli immagini proiettate su di esso.
Ciò che appare alla mente sono momenti psicologici. Se sono movimenti ci deve essere di conseguenza qualcosa di stabile che ne percepisce i cambiamenti e li collega, che fa da sfondo ad ogni cambiamento ma non cambia. Dunque, immutabile.
Da questa percezione finita e personale, progressivamente si disvelerà una Consapevolezza impersonale e onnicomprensiva della coscienza d’essere. Lo spaesamento che derivava dal subire l’impermanenza di tutte le cose gradualmente svanirà in questa Consapevolezza.
Non sorge nello spazio e non si muove nel tempo. È sempre presente e immutabile. Non è un oggetto là fuori e quindi non entra mai nella corrente del tempo, dello spazio della nascita e della morte.
Non solo: nella pura coscienza d’essere – in questa limpida percezione consapevole – si è unicità: io e un altro siamo questa cosa, coincidiamo in essa.
Non è più mia che di altri. È la stessa, unica cosa.
@federicoastel per @tantipensieri
Immagine dal web