La mattina era un incubo entrare in quell’ascensore.
Tutti pigiati come sardine in una scatoletta di latta pronta per essere aperta, dove le persone non ti dicevano mai né “buongiorno” né “buonasera”, ma avevano stampato in faccia quei sorrisi finti.
Ti ritrovavi a maledire quel breve tragitto di alcuni piani dove non sapevi se fosse stato meglio fissare il soffitto, il pavimento o la pulsantiera.
Dove non vedevi l’ora di arrivare al tuo piano ed uscire senza neppure concederti un saluto che tanto non ti avrebbe risposto nessuno.
Dove profumi ed odori si concentravano lì sotto ai nostri nasi e tu non dovevi far altro che trattenere il respiro fino a quando le porte dell’ascensore si aprivano e potevi tornare a respirare.
Poi una mattina, come per magia, entrò lui, un misterioso uomo dal profumo penetrante a tratti perfino eccitante.
Di una bellezza disarmante con la pelle abbronzata, quel filo di barba leggermente accennato e due occhi di un verde così intenso che alcune mattine indugiavano qualche minuto di troppo sulla mia scollatura.
A volte avrei voluto che quell’ascensore si fermasse e, come nei film, scoppiasse la passione.
Quella passione così improvvisa che brucia in fretta ed esplode devastando gli equilibri, un po’ come la dinamite.
Quella passione che una volta terminata ti lascia l’adrenalina addosso, il gusto amaro del peccato.
Nonostante quei pensieri trasgressivi si affacciassero audacemente dentro alla mia testa il nostro era solo un gioco di sguardi, di gambe che si sfioravano quando qualcuno, uscendo dell’ascensore ci faceva trovare con i corpi ravvicinati.
Mi ritrovavo a fantasticare su quelle labbra che sembravano così morbide; chiudevo gli occhi e le immaginavo lasciare scie sulla mia pelle calda mentre io mi inarcavo pronta ad accoglierlo.
Mi ritrovavo a fantasticare sulle sue mani possenti; chiudevo gli occhi e le immaginavo sul mio corpo mentre mi spostavano i capelli per massaggiarmi il collo o mi toccavano sapientemente facendomi raggiungere le vette del piacere più intenso.
Mi ritrovavo a pensare a quell’uomo in ogni momento della giornata, era diventata la mia ossessione, il mio sogno proibito, il mio tormento.
Fino al giorno in cui il mio sogno proibito diventò realtà, solo che quel sogno non era come me l’aspettavo:
le sue mani non erano possenti, ma sudate e per giunta fredde.
Le sue labbra non erano morbide ed i baci non mi procurarono nessun brivido, ma solo la voglia di scappare lontano da lui.
Insomma, le farfalle nello stomaco non erano esplose ed io, devo ammetterlo, ci rimasi molto ma molto male.
Così, decisi che fare due piani a piedi non mi avrebbe fatto per niente male e da quel giorno non solo non presi più quell’ascensore, ma giurai a me stessa di non far diventare mai più i sogni realtà.
Barbara per @tantipensieri
Immagine dal web