Cara Debora…

Cara Debora,

caro Tantipensieri,

è aprile, la primavera tentenna ad arrivare, saranno queste regressioni verso l’autunno che ci portano a ricordare periodi lontani più freddi. Ho letto la lettera. Debora incide immediatamente con le sue parole e fa un’ associazione veritiera e rivelatrice quando descrive le mie come includenti un taglio.  

Esattamente un taglio, non una ferita che può essere leggera, casuale, ma un “solco” inferto con forza sulla pelle, la trapassa, fino a toccarne le carni. 

Mi sono chiesta come facciano due persone quasi sconosciute, distanti, ad avere una così forte affinità emozionale. Sono andata in cerca di Debora, l’ ho cercata tra le sue parole, i suoi articoli ed il suo libro; ed è proprio “Tra due nastri di raso viola” che ho trovato Leandra. Mi sono immersa tra le parole di un’altra donna e mi sono fermata senza avere più fiato ” Sul ciglio” di Debora Alberti. 

“Avevo paura. Quello che avevo costruito mi stava sfuggendo di mano, quello in cui avevo creduto mi stava corrodendo e anche quando mi specchiavo vedevo una parte di me sconosciuta, ero cambiata per farmi da scudo contro qualcosa che non volevo…”

“C’è sempre un modo per salvarsi…”

“I rumori erano assordanti, non riuscivo a scegliere…

… e allora mentre la paura si faceva da parte e raccattavo le briciole di me, ho cercato di ricostruirmi e ripartire, perché la bomba era scoppiata ma per me la guerra non era finita, dovevo ancora vincerla…”

ECCO, IO HO VINTO, PERCHÉ NON HO PIÙ PAURA. 

Ma la paura quando nasce? È esistenzialmente ingiusto che nasca addirittura quando si è bambini. Tu citi una frase inerente un romanzo noto: ” I bambini hanno paura del buio…” ed il buio che cos’è? L’ignoto? La solitudine? È l’abbandono. Un bambino ha paura di essere abbandonato, lasciato solo, senza guida, sostegno, conforto, amore. I bambini dovrebbero, al massimo,  provare paure leggere, velocemente placate e non la sensazione di sentirsi continuamente persi. Da adulti siamo molto bravi a far perdere i bambini, ci si rende conto troppo tardi o forse mai. Basterebbe andare indietro nel tempo e ricordare di cosa avevamo paura e annientarla per non farla rivivere ai nostri figli. Per far ciò è però necessario saper passare dal ruolo di figlio a quello di genitore. La genitorialità di cui parlo non è assolutamente acquisita biologicamente, conosco madri e padri senza figli e figli senza genitori. Rimane dunque la speranza di una crescita per non fare la fine del padre di Michele che “Ha una paura folle di perdere la parte più importante di sé, di averla già persa, di essersi perso proprio mentre suo figlio gli ha insegnato…”. 

Leandra Tersigni per @tantipensieri

Immagine dal web con citazione di Francesco Bacone

 

 

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