Caro Tantipensieri

Caro Tantipensieri,

giorni fa tra i tuoi pezzi mi ha colpito in modo particolare quello di Leandra: “io non ho paura”, mi ha subito rimandato al passato, mi ha portato a riflettere, a fermarmi e a fermare le parole per scrivere.

Io non ho paura.

E riaffiora prepotente una lettura che feci ancora ragazzina, in piena adolescenza, per l’appunto: “Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti.

La paura. Le sue sfaccettature e facce, come acqua che si insinua ovunque, ma il coraggio?

Una frase di Leandra diventa un filo conduttore davvero solido tra il suo pezzo e il testo che ho ricordato:

 

“Poi c’è un’altra paura, scatenata dalla rabbia delle persone, quelle accecate dall’ira, dal senso di frustrazione.”

 

Nel testo l’oscuro mondo degli adulti, quelli che ruotano attorno alla vita del protagonista, di Michele, lui curioso e pronto a scoprire cosa gli si consuma attorno, lascia trasparire la forza dei suoi anni sfumati troppo velocemente, contro lo specchio di persone grandi racchiuse nel loro mondo difficile, di guerre e rimorsi. Mafia e dintorni. Silenzi e occhiate attraverso strade afose e muri trasudanti segreti.

Ma non mi fermo qui, il pezzo che mi ha suscitato ricordi di letture, non mi ha riportato a galla solo il romanzo dello scrittore romano, ma un testo altrettanto forte, ribelle, vero, testimonianza di graffi e intrusioni alla fanciullezza. Mi è spuntato nella mente “Buio” di Dacia Maraini, sentendo prepotenti le parole di Leandra che racchiudono un taglio.

 

“La paura sgretola anche la minima briciola di vita, annienta i sorrisi, esilia la speranza, distrugge ogni forma di sicurezza precedentemente acquisita.”

 

La copertina nera, il volto di un bambino rischiarato da una luce fioca e il libro in mano, simbolo di silenzio e il messaggio in giallo sul retro del testo:

 

“I bambini hanno paura del buio come gli adulti hanno paura della morte.”

 

Abusi sessuali, mostri adulti contro fanciullezza e ingenuità.

Ancora paura, un altro paragrafo, ferite di altro tipo, fisiche e psichiche che entrano nel midollo e costruiranno poi uomini con fardelli imprecisati, con ombre buie dentro, terribili fantasmi.

Annienta i sorrisi…distrugge ogni forma di sicurezza…perché si sa che i bambini hanno il loro nido, le braccia sicure dove trovare riparo e se proprio tra quelle braccia trovassero il loro aguzzino? Si polverizza tutto, dentro e fuori.

Un rischio. Il buio e la morte poi. Paure e calci.

Letture e lettere, tratti scalfiti e miei ricordi, come il finale del film diretto da Gabriele Salvatores sulla traccia del romanzo di Ammaniti, che decisi di sfumare volontariamente per la possibile delusione di non trovarci le parole, nel quale il padre di Michele ha sì una paura folle, di perdere la parte più importante di sé, di averla già persa, di essersi perso proprio mentre suo figlio gli ha insegnato a liberarsi dai suoi mostri.

Perché in fondo, come detta Leandra: “non puoi farmi più nulla. Io non ho paura.”

 

Debora Alberti per @tantipensieri

Immagine dal web

 

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