Silenzio

La coppia era appena arrivata al cottage.
Il marito stava prendendo le valigie dal bagagliaio, pensieroso perché non capiva come mai sua moglie avesse la necessità di portare tutte quelle valigie per stare fuori solo due notti.

Tutto era silenzioso, si sentivano solo gli uccelli tra gli alberi, l’aria era fresca e in lontananza si vedevano le luci degli altri cottage. Entrò in casa e si recò direttamente al piano superiore a posare le valigie. L’armadio aveva un’anta socchiusa, da lì due occhi spiavano i suoi movimenti, aspettando l’occasione giusta per uscire allo scoperto. Girovagava da giorni e aveva trovato quel cottage disabitato, era entrato forzando la serratura. Era un rifugio perfetto, isolato rispetto agli altri cottage della zona ma per precauzioni non aveva mai acceso le luci.

Era stato un duro colpo per lui quando aveva sentito una macchina fermarsi. Appena il tempo di nascondersi e indossare il copricapo, per fortuna aveva dato una sistemata alla casa e buttato la spazzatura piena di scatole di lattina che consumava regolarmente. Doveva scappare e, se scappare, significava lasciare sangue dietro di lui, lo avrebbe fatto senza pensarci due volte. Non voleva tornare in prigione, era riuscito ad evadere ed era buonissimo il profumo della libertà.
Doveva studiare un piano, di sicuro sgattaiolare via era la scelta da fare per evitare ulteriori problemi, ma come? Il profumo proveniente dal piano di sotto gli stuzzicò le narici, era odore di carne arrostita e anche il suo stomaco si destò.
Doveva scoprire quante persone erano presenti in cucina innanzitutto.

 

L’uomo aveva depositato due valigie in quella stanza ma non poteva sapere se ce ne fossero altre altrove. Dalle voci sembrava si trattase solo di un uomo e di una donna ma non ne era sicuro. Sgattaiolò piano piano fuori dalla stanza, si appostò in cima alla scala; la luce della cucina illuminava una parte di ingresso ma non vedeva altro. Cambiò posizione per riuscire a vedere meglio: in cucina c’erano solo una donna ed un uomo, sicuramente una coppia. Lei era ai fornelli, lui stava apparecchiando. Iniziò a pensare, doveva escogitare un piano, doveva scappare ma prima avrebbe cenato, non poteva lasciarsi sfuggire quell’ occasione, aveva bisogno di energia ed erano mesi che mangiava solo scatolette.

Decise di intervenire, la pistola in tasca lo avrebbe aiutato. La impugnò e scese le scale piano, si presentò sull’uscio della porta con l’arma puntata davanti a lui in direzione della donna. Lei lanciò un urlo ed il piatto le cadde di mano frantumandosi, lui si immobilizzò con il pacco di tovaglioli in mano. “Scusate se irrompo nella vostra vita in questo modo ma, se mi ubbidirete, non vi succederà nulla; caso contrario la prima a pagarne le conseguenze sara lei, disse indicando la donna. “Prendi i soldi e vattene” gli consigliò l’uomo ma senza muoversi. “Non voglio i tuoi soldi, voglio solo mangiare ma prima sfilati la cintura”. Davanti al suo sguardo stupito sottolineò: “sfilati la cintura dei pantaloni e siediti”. Fece come gli fu ordinato. L’uomo con la pistola gli si avvicinò e gli legò i polsi dietro la schiena stringendo cosi forte la cintura che i polsi gli erano diventati bianchi, svenne al colpo che gli assestò con il calco dietro la nuca. “È solo svenuto, non preoccuparti, dammi qualcosa da mangiare, ora è lui sotto tiro”. La ragazza, spaventata  e con tremore, gli servì la bistecca ancora calda che divorò in due minuti, ” Ho ancora fame, dammi anche l’altra”, le ordinò in un tono che non ammetteva repliche, finì la cena con un bel bicchiere di vino rosso.

Si riabbassò il copricapo anche sulla bocca e le fece segno di avvicinarsi al suo uomo. Iniziò ad aprire gli sportelli della cucina, fino a trovare ciò che gli serviva: delle fascette. Si avvicinò alla donna e tutto accadde all’improvviso: lei gli si avventò contro con un paio di grandi forbici che non aveva notato, forse le aveva nascoste sotto la manica del pullover mentre mangiava. Lo colpì ad occhi chiusi tra il collo e la spalla, sentì l’acciaio penetrargli la carne. D’istinto la respinse in malo modo, lei cadde inciampando nella sedia del marito che si capovolse.

Con forza disumana si tolse le forbici conficcate nella sua carne, il dolore era tremendo. Il sangue iniziò ad uscire a fontanella, guardò i due corpi davanti a lui, entrambi svenuti, dal naso di lui fuoriusciva del sangue, forse cadendo aveva sbattuto sul pavimento.

Doveva scappare ma prima decise di cucirsi la ferita alla meglio.  Aveva visto una scatola con ago e cotone, camminò lentamente perché si sentiva debole, nonostante la carne che aveva appena divorato. Doveva far presto, stava uscendo molto sangue. La mano gli tremava mentre infilava il cotone nella cruna dell’ago, poi si ricordò che avrebbe dovuto disinfettarla; in bagno trovò quello che gli serviva e, finalmente, iniziò a cucirsi la ferita. Emetteva un urlo ad ogni punto di sutura ma avrebbe dovuto e potuto sopportare quel dolore perché aveva affrontato di peggio in passato.

Per farsi forza si ricordò   di quando, da ragazzino, cadde in bici su dei vetri rotti che gli si conficcarono nelle gambe perché aveva pantaloncini corti. Anche in quel caso, con forza disumana, si tolse i vetri uno ad uno, prima che la madre lo portasse dal dottore; anche in quel caso furono necessari 20 punti di sutura. Ne portava ancora i segni perché le sue gambe erano piene di cicatrici, per lui era orgoglio resistere al dolore, provava quasi piacere.

La ferita era ricucita, sicuramente avrebbe fatto meglio un medico ma, essendo lui un principiante, fu soddisfatto. Decise di andar via ma prima ritornò in cucina; i corpi erano a terra come li aveva lasciati, erano vivi perché respiravano, ma non erano in grado di dare l’allarme, quindi aveva tutto il tempo di allontanarsi. L’aria fredda sul viso lo destò da quel senso d’intontimento che aveva avuto dentro casa, forse dovuto anche alla ferita. Iniziò a camminare il più velocemente possibile, all’improvviso sentì uno strappo. La maglia, all’altezza della ferita, si impregnò di sangue.

La ferita si era riaperta, era solo e non c’era nessuno a cui chiedere aiuto, si sentiva debole. Decise di sedersi sotto un albero e aspettare tranquillo che tutto finisse, aveva sempre reagito e sopportato il dolore. In questo caso poteva solo sopportarlo, non c’era un modo per reagire anzi forse c’era.

Ricominciò a sentirsi intontito, decise di addormentarsi così da accogliere con dignità quello che sarebbe accaduto.

The end

Giovanna Viola alias@GViola16

immagini dal web 

 

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