Quel giorno era come se il tempo si fosse fermato dentro a quella camera.
Come se l’atmosfera “elettrica” di quell’attimo ci avesse proiettato in un luogo ovattato dove nessun rumore esterno poteva oltrepassare quella cortina magica che si era creata tra di noi.
Avevamo fatto l’amore.
Non ci eravamo dati appuntamento; ci eravamo trovati ed era successo così, all’improvviso, in una stanza di uno squallido motel che da quel giorno sarebbe diventata la “nostra stanza”.
Lui era davanti a me, si stava rivestendo.
Sentivo il fruscio dei jeans che salivano sulle sue gambe muscolose.
Avrei potuto guardare e godermi quello spettacolo ma non lo feci anzi chiusi gli occhi perché, credetemi, è più facile immaginare e registrare tutti quei rumori che alla fine ti portano, inevitabilmente, a ricordare
e, tutte le volte ascoltandoli, riproverai quelle scosse elettriche che ti riporteranno a quegli attimi.
Brevi ma intensi.
E così ascoltavo ed immaginavo…
Le scarpe raccolte da terra e poi poggiate di nuovo sul pavimento.
I lacci che si stringevano.
Il fruscio della camicia presa dalla sedia.
Il rumore dei bottoni che venivano infilati nelle asole.
Era davvero un bello spettacolo di “rumori” ed io me lo stavo godendo tutto.
“Che fai, rimani a letto a guardarmi?” – mi chiese riportandomi alla realtà.
“Si, cioè no, hai ragione mi alzo” – risposi con un sibilo, la voce di chi è ancora confusa per ciò che ha vissuto.
Tutto era stato così inatteso, come se il destino ci avesse dato appuntamento proprio davanti a quel motel.
Già, il destino.
Un respiro lento. Un sorriso appena accennato.
Iniziai a rivestirmi. Ad un tratto lui mi si avvicinò ed inaspettatamente mi abbracciò, cingendomi da dietro.
Un bacio sul collo. Un altro ed un altro ancora.
Le sue labbra danzavano sul mio collo, di nuovo quelle scosse elettriche che si impossessavano della mia mente, quella lucida follia che non lascia scampo.
Mi girai e ci baciammo, con trasporto, come se i nostri corpi e le nostre bocche non fossero ancora sazi.
“Non lasciarmi” – avrei voluto gridare – “tienimi con te” , ma mi divincolai dalla sua stretta anche se il mio corpo diceva ben altro.
L’adrenalina ed il gusto dolce amaro del “peccato” s’insinuò nuovamente tra di noi.
Ma non possiamo cedere, non dobbiamo…
“Vado in bagno, poi andiamo” – accennai ad un sorriso e mentre camminavo sentivo il suo sguardo sul mio fondoschiena fino a quando non mi chiusi la porta dietro alle spalle.
Mi guardai allo specchio: i capelli arruffati, gli occhi lucidi ed il mascara completamente colato, le labbra gonfie dai troppi baci.
Cercai di “rendermi presentabile” e di calmare il battito tumultuoso del mio cuore.
Avevo voglia di lui, ancora. Allora era questa la passione, quella che brucia in fretta, esplode, ed una volta terminata, tutto tornerà come prima o non tornerà affatto se l’esplosione è stata violenta.
Uscimmo da quello squallido motel e ci avviammo verso le nostre macchine.
Ci saremmo mai rivisti? La mia mente era piena di domande a cui, probabilmente, non avrei mai avuto risposte.
Ed allora inizia a pensare a qualcosa che potesse stupirlo e credo, anzi ne sono sicura, che in quel momento l’incoscienza prese il sopravvento e mi fece fare una pazzia che mai avrei pensato di poter fare per un uomo.
Mi voltai e gli sorrisi.
“Hai fame?” – gli chiesi “Io tanta.”
“Hai ancora fame di me?” – fu la sua risposta che arrivo come una folata di vento improvvisa.
Ed in quel preciso istante capì che non potevo lasciarmelo scappare.
Ridendo lo presi per mano e lo trascinai verso una panetteria.
Ci sedemmo su una panchina, togliemmo la carta e quell’odore irresistibile di pizza bianca con la mortadella ci “invase”.
Lo guardai ed in quel momento, in quel preciso istante, mi accorsi che avevo tutto quello che desideravo.
Non era mio.
Non mi apparteneva.
Non ancora ma… l’avrei voluto, per sempre…
Barbara per @tantipensieri
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