È difficile descrivere ciò che ho provato nel tornare a uscire e andare in centro dopo quasi tre mesi di confinamento collinare forzato
Strati indefiniti di mancanze che tentano di battere in ritirata con livelli indicibili di amore compresso.
Poi in un giorno piovoso di maggio arriva il quasi ritorno alla vita.
Uscire, sì e no.
Bello ma non facile.
Che botta, che tuffo al cuore.
Casa. Famiglia. Vita. Calore. Vite sospese.
E la dimensione del presente nel continuo stravolgimento del reale.
Prove di sorrisi così così.
Io canto da sola.
E danzo o ballo sola, ché a volte mi passa.
Va così da tre mesi.
Non ho congiunti.
Non ho mariti né fidanzati.
Ho un po’ di parenti in città e non frequento da vari decenni il parentado sparso tra Sardegna, Liguria e altre regioni.
I miei genitori sono morti.
Ho un figlio giramondo, presente ma super impegnato.
Ho gli amici… sì tanti.
Tutto tra Zena, e la Riviera.
Genova la mia vita, più che un affetto stabile per me è madre.
Tre mesi che mi dicevo: Che fare? Non lo so, ci vuole pazienza, ci vuole molta perseveranza… Devi resistere, persistere.
Equilibrismi estremi.
Bisogna gioire dei pochi spazi di serenità profonda, sebbene i contorni delle cose vitali siano frastagliati.
Auto-certifico di aver bisogno del contatto umano.
Così ho deciso di andare a rintracciare l’odore perduto della mia vita genovese.
Auto-certifico la meraviglia dello stare con il figlio e gli amici
Emozione… Grande, anche troppo, un insieme non facilissimo da gestire.
Quindi auto-certifico che sì, è andato tutto bene.
Camminare per il centro della mia adorata meravigliosa città, è stato come un miraggio.
Il Miraggio di questo incredibile Maggio.
[Inoltre voglio auto-certificare di odiare il lievito madre, che si è beccato tutte le attenzioni in questa pandemia… firmato: una donna che lievita e schiuma da mesi]
Marinella per @tantipensieri
immagini dell’autrice