Ho ancora impressi, nella mia mente, quegli occhi grandi e belli dal colore indefinito e indefinibile, tra blu grigio e verde, a seconda del tempo. Gli occhi di Zia Elide, una cugina di mia nonna. Insieme ai suoi occhi, ho dentro me tutta la sua figura, anche se è venuta a mancare da più di venti anni ormai. Ci sono delle persone che fanno parte del proprio percorso di vita e lei ne è stata una per il mio.
I miei primi ricordi di lei, risalgono a quando ero bambina, e si collocano all’interno della chiesetta del paese. Il suo posto era al secondo banco, a sinistra, vicino all’altare laterale dedicato al Santo Patrono, sempre lì, con in mano l’immancabile rosario. Mi rivedo ad osservarla, già in età matura, la sua folta chioma bianca, dal taglio al carré, magistralmente ondulato, con dei curiosi riflessi azzurrini o violetti, sembravano i capelli della fata Turchina; le sue gonne di gabardine dalle pieghe perfette, o gli abiti eleganti col collo a fiocco e magari ricercati volants sulle maniche.
Non si era mai sposata ed era praticamente la perpetua della parrocchia. Conosceva a memoria, curandone personalmente lo stato di conservazione, tutti gli abiti talari appesi nell’armadio della sagrestia e tutte le tovaglie degli altari, ricordando benissimo chi le avesse donate.
– Questa tovaglia, bella de zia, è un capolavoro, la metto solo pe la festa della Madonna dell’Assunta, sennò se rovina. L’ha ricamata tutta a intaglio la Sora Vittoria quanno, dopo tante tribolazioni je nacque il fijo, e l’ha donata alla chiesa pe ringraziamento. –
Gli addobbi floreali da lei composti, erano perfetti. Non dimenticherò mai i garofani rossi e le foglie di felce, infilati con pazienza nei lunghi e stretti vasi, che mi fece posizionare sui gradini dell’altare centrale, dopo avermi fatto arrampicare, con mani e piedi, fin lassù. Avevo circa dieci anni. Arrivai in cima e quando mi voltai per poco non mi venne un colpo, i piedi della Madonna davanti e il vuoto dietro. Se ci ripenso ora mi viene da ridere. Secondo lei Nostra Signora mi proteggeva e non avrebbe mai permesso che cadessi.
Col tempo, in realtà perché stavo crescendo e diventando anche io una donna, cominciai a guardarla sotto una luce diversa.
Un giorno, durante una delle mie innumerevoli visite a casa sua, parlammo molto. Stava stirando una delle sue gonne a pieghe, sul tavolo, con un vecchio ferro da stiro in metallo, scaldato sul fornello, e una pezza umida.
– Zia, ma non hai il ferro a vapore? – chiesi meravigliata
– Si che ce l’ho, ma non stira bene come questo. –
Mi cadde lo sguardo sulla spalliera di una sedia, dove erano appoggiate delle calze autoreggenti. E i suoi capelli…Ecco svelato il mistero…quelle onde…quelle strane pinze di metallo tutt’intorno alla testa, altro che bigodini! Su un angolo del tavolo la fialetta del riflessante, “ il cachet” lo chiamava lei. Era il periodo di carnevale e mi offrì delle frappe che sembravano finte, una striscia di pasta annodata a forma di fiocco e fritta. Forse si era ispirata ai colli dei suoi bei vestiti…booh…
Insomma, in poche parole quel giorno, oltre alla simpatica zia, vidi la “donna”. Era ancora bella, nonostante l’età, il suo corpo morbido ma ben fatto, la sua femminilità un po’ timidamente nascosta, per la paura delle chiacchiere di paese.
– Zia, perché non ti sei mai sposata? – Chiesi indicandole una foto di lei da giovane. – Eri molto bella, nessuno ti ha fatto il filo?
– Si bella de zia, ma io volevo sta co mamma e papà, ero figlia unica, e innamorata de papà mio, tanto timida. Quanno ce fu la ritirata dei tedeschi e giravano per il paese, io me vergognavo pure de annà a pijà l’acqua alla fonte co la conca, perchè quanno passavo me sorridevano e me parlavano. Qualche giovanotto me voleva si, ma io stavo bene co mamma e papà. Poi so annata a lavorà in fabbrica e il caporeparto me tormentava. Pe dispetto me mandò nel reparto più brutto, dove se tingevano le lane, respiravo l’acidi e me ammalai co na tosse da morì. Alla fine me je raccomandai, se mosse a compassione e me fece rimette do stavo prima. Ma ormai la salute non ce stava più e me dovetti licenzià. E’ andata così. E so rimasta qua.
– Ti voleva sposare per forza zia?
– Noooo! Macchè! Era già sposato, voleva altre cose. –
I suoi occhi divennero all’improvviso torbidi e tristi e abbassò lo sguardo, come se si vergognasse di qualcosa.
E in quel momento io capii tante altre cose di quella donna. Soprattutto la grande sensibilità, che gli eventi le avevano fatto vivere sotto forma di condanna. Chissà cosa doveva aver subito da quell’imbecille pezzo di merda! Mosso a compassione! Certo come no! Il mobbing degli anni ’40, che aveva irrimediabilmente lasciato il segno su una giovane ragazza timorata di Dio. Tuttavia, la sua femminilità era ancora viva ed evidente, pur soffocata nel tempo. Ne era rimasto qualche sprazzo, dedicato ai suoi abiti, ai suoi capelli e alle sue sorprendenti calze autoreggenti.
La scomparsa del padre, ritrovato morto dopo venti giorni in mezzo al bosco, sicuramente dopo essersi perso, e quella della madre dopo pochi mesi, le dettero il colpo di grazia e la spinsero a dedicarsi anima e corpo alla parrocchia, alla “Fede” come diceva lei. Una motivazione la doveva pur trovare, per dare un senso alla sua vita, per non impazzire. Era rimasta sola, senza lavoro, senza uno scopo, chiusa in un ambiente di paese, dietro quella vecchia porta col saliscendi e il paletto all’interno. Compresi appieno, con rammarico, il perché di quello sguardo sempre malinconico, seppur dolce, e la sua grande solitudine.
Solo negli ultimi anni della sua vita visse in compagnia, di una cugina.
Io la penso spesso, con un affetto mai diminuito, è parte della mia vita, della mia crescita interiore. Penso al tempo passato con lei, e man mano che passa il mio, di “tempo”, la ridipingo dentro la mia mente e dentro il mio cuore. Ho sempre una preghiera da dedicarle quando vado a far visita ai miei cari nel piccolo cimitero, continuo ad osservare i suoi occhi malinconici, in quella foto sbiadita, e affido al vento un bacio per lei…
Sandra per @tantipensieri
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