Un giorno chiesi al cielo:
«Qual è il mio sentiero?».
Il cielo non rispose.
Cercai allora in lungo e in largo, ogni giorno, per molti, moltissimi giorni.
Chiesi indicazioni, ma si rivelarono tutte confuse, inutili, spesso dei tranelli.
Un giorno qualunque – non era accaduto nulla di rilevante – mi arresi all’evidenza: non c’era nulla per me al di fuori di me. Sfinita, mi lasciai cadere sulla terra, in cerca di una rinascita, o forse solo dell’oblio del riposo. Mi lascia cullare dal profumo del fango e dell’erba. Alzai gli occhi al cielo per la prima volta. Non era veramente la prima, ma non ricordo più a quando risaliva quella precedente. Ah sì! Fu quando gli domandai:
«Qual è il mio sentiero?».
Ed eccolo, il sentiero!
Iniziava proprio là, dall’unico posto in cui avevo scordato di guardare.
Contemplai a lungo le sue curve invitanti cariche di promesse nuove mai immaginate prima. Avevano il sapore dolce-amaro del sorriso di una madre triste.
Era sempre stato a un passo, subito oltre i cancelli delle possibilità che mi ero data. Il sentiero ero io e sulla porta che ad esso dava accesso trovai un lucchetto con incisa la mia firma.
Io sono l’origine, la direzione, la destinazione.
Io sono l’ostacolo, il burrone, il pantano.
Io sono il ponte, il guado, il rifugio.
Da quel giorno, non chiedo più indicazioni lungo il cammino, ma ascolto volentieri le storie dei viandanti perché, se il mio sentiero ha incrociato il loro, una ragione deve esserci.
Alice Rocchi per @tantipensieri
Foto dell’autrice