Uno specchio e due occhi. La luce accesa e la finestra chiusa. Le mani calde e i capelli tirati indietro da una fascia.
Le palpebre si abbassano mentre un sospiro rallenta tutto.
Sono passata anche dal precipizio.
Un viaggio a ritroso.
Dove usavo le bugie per tenermi strette le persone.
Ero diventata un mostro.
Come se dal fuori potessi vedermi ora, mentre ripulita da quella droga che era la solitudine del dolore, potessi pensare di non essere più io quella.
Ero infelice, fino al midollo.
Mi facevo male, mi disperavo nel silenzio della mia casa. Ero il nulla.
Sfoglio le foto di quel periodo e mi sembra di osservare un’altra. La prima, quella di tre anni fa, una festa e la collana di perline rosse al collo, si nota il rossetto rosso ad annotare labbra stanche di parole non dette e occhi grandi per un viso che avrebbe voluto nuove carezze e invece sotto lo strato di fondotinta, nascondeva le lacrime che facevano male soprattutto dentro.
Io.
Prendo un pennello e passo sopra i tagli che attraverso quella voce che ogni tanto mi capita di sentire, bruciano di nuovo, mi franano piano dentro e anche se so che tutto è passato, non posso dimenticare come per l’ennesima volta io sia dovuta cambiare.
E non trovarmi più.
Ci sono cartine geografiche che con il tempo agli angoli si usurano, sulle pieghe continue si creano tagli e per vedere le vie, bisogna scocciarle, un po’ così il viso, tagli che si rimarginano fuori ma dentro sono chiodi.
Il rossetto rosso è rimasto a metà, ormai vecchio dentro nella trousse, forse serrava le parole che fuori sarebbero state urla, smalto che ora increspa ai lati del vetro della bottiglietta che lo contiene, colore di quei graffi che ancora ricordo nella sera d’estate, dopo che i pugni chiusi contro il muro non erano stati abbastanza dolorosi.
Provare a buttare fuori da dentro, quando le foto riportano a galla un tempo buttato, dove riconoscersi è prepotenza, perché volevo solo apparire per non ascoltare. Me.
Getto l’acqua sporca che ha lavato via un trucco sgualcito dai rimorsi, da quelle battaglie in cui credevo solo io. Lo scarico gorgoglia come il cuore che ha inghiottito i gemiti di notti insonni, mentre i respiri erano soffocanti e soffocati nella federa del cuscino e le ossa sotto la pelle si fanno sempre più visibili.
I capelli che oltre le spalle sono diventati inutili, non avevano più senso e sono caduti per provare a donarmi un profilo diverso.
Mi ristampo, mi ricontorno, mi gestisco di nuovo. In una vita, mille vite, perché dopotutto non mi piace fermarmi, ma almeno la paura è diventata una sorta di spada per combattere.
Debora Alberti per @tantipensieri
Immagine dal web