Dentro il metrò affollato,
alla vita non si scappa:
chi deve morire, muore
come chiodo arrugginito in soffitta
nella ruggine di se stesso
sparge rossore sterile
a macchie tra i sedili
di corpi uniti a pacchi immobili
in attesa del boato.
Se deve vivere, vive
dentro la metro assediata:
chi non stacca la bocca
dal finestrino appannato
e ancora scrive iniziali condensate
come a dire di un infinito in fondo al tunnel
una parola condivisa che ci chiama
e fa tornare passanti svelti tra le porte
che non pensano alla vita,
che non pensano alla morte.