La stanza della stesa

Succedono strane cose alle mie spalle.

Un’aria glaciale proviene da chissà dove e mi provoca brividi, come quando delle mani gelate si poggiano sul collo. Fruscii e sommesse risatine solleticano le mie orecchie.

Ditemi che non è vero che succedono strane cose alle mie spalle!

Ho poco coraggio, lo so. A volte mi giro piano, sperando che tutto taccia, definitivamente. Altre volte fisso lo schermo del computer. Pochi secondi, mi dico, poi tutto sarà passato.

Va avanti così da un po’, questa storia.

Mia moglie aveva ragione. Non facciamo un secondo bagno, lasciamo lo stanzino di servizio per la lavanderia. Io invece ho detto no, voglio un altro bagno e dividiamo lo studio. Da una parte il computer e la libreria, dall’altra l’asse per stirare, la cesta dei panni e lo stendino antigocciolamento.

Il problema comunque non è la condivisione dello spazio. Il problema è che da un po’ di tempo succedono strane cose.

In casa dormono tutti. Navigo, faccio calcoli e scrivo mail.

Ma so che stanno per iniziare.

Iniziano piano, bisbigli e sussurri. Piccole correnti d’aria si formano dietro me. Forse stanno provando una danza. Non mi volto. Non per paura, solo perché sono certo che non servirebbe a nulla.

Oggi mi sono attrezzato. Ho attivato la webcam per registrare ciò che avviene alle mie spalle. La finestra del programma la tengo nascosta sotto un gioco di ruolo.

Sento il loro lieve vociare salire fino a infittirsi, poi un fruscio lo copre. E degli sfrigolii di stoffa sintetica. Non resisto alla curiosità di coglierli sul fatto e mi volto. Tutto tranquillo.

Eppure sono certo che fossero i miei calzini da tennis che parlavano tra loro. Oppure no, uno di loro con gli asciugamani. O con una camicia. Magari quella bianca di lino a righine celesti. Mi ha dato sempre l’impressione di essere una gran chiacchierona.

Sanno bene che li spio. Sanno che se voglio, anche se ancora un po’ bagnati, li posso prendere e sbattere nella cesta. Ci penserà domani la signora che viene a stirare a farli tacere.

All’improvviso uno schiocco d’aria mi sfiora la testa. D’istinto mi abbasso e mi volto. Guardo fisso il mio accappatoio giallo. Sono certo che è stato lui. È lì, appeso alla libreria alla mia sinistra. Ha l’aria di volermi sfidare. Come per dirmi non mi becchi. Lo so, non ti becco, ma se riesco ti annodo le maniche.

Sposto lo stendino più indietro. Così almeno non sento più le loro litanie e li tengo a una certa distanza. Non troppo, non c’è molto spazio.

Fermo la registrazione della webcam. M’incollo allo schermo, mi giro per controllare che sia tutto a posto e che non mi possano vedere, minimizzo la finestra e mi godo lo spettacolo.

Lo sapevo, sono loro, quei maledetti calzini da tennis. Si scuotono, prima l’uno e poi l’altro. All’unisono ondeggiano verticalmente, gli altri con loro, compresi quelli delle bimbe e le calze di mia moglie. Un preludio. Gli asciugamani e le camicie iniziano a danzare, seguendo un ritmo che io non percepisco, come se un invisibile direttore d’orchestra avesse dato il tempo, e loro insieme inscenato un balletto, allungandosi nella mia direzione, a volermi toccare. Inaspettatamente, come per prendere la rincorsa, si spostano simultaneamente dall’altra parte e di nuovo verso di me, come mille braccia tese ad afferrarmi.

Strane cose accadono alle mie spalle.

Mi siedo e riprendo le mie occupazioni informatiche senza convinzione e con le orecchie tese.

La stanza si è fatta piccola; io rimango imbambolato sulla sedia. Non vedo vie d’uscita; sennonché che il sonno mi colga. Perché io da qui non mi muovo né mi giro, di sicuro! Almeno fino a quando loro non si saranno acquietati.

Brrr. Ci siamo di nuovo. Un’aria polare mi massaggia la schiena. O è la mia paura? Ora sento dialoghi a voce bassa. Di nuovo le stoffe che si dimenano e recitano il testo completo.

Sale un sommesso coro a bocca chiusa; poi diventa da stadio. Per un attimo tutto tace e infine un’esplosione, come quello che segue un gol troppo a lungo atteso. Un’esplosione di gioia, uno sbattere di porte!

Mi giro di scatto, sì, ho trovato il coraggio! Tutto è fermo, la porta è chiusa e io sono in trappola nello studio.

È stato lui a orchestrare tutto, quello stronzo di accappatoio, lo so. Cerco di concentrarmi; la mia testa è in cerca di una soluzione per uscirne!

Preceduto da un flebile brusio scorgo appena dal riflesso dello schermo del computer la figura gialla maledetta che si avvicina. Faccio in tempo a dire no che le due maniche mi si avvinghiano al collo. Mi sta strozzan…do, il bastar…do, soffo…co, affer… le manic…, gli altr… tifa…no per lui. Mi sent… mori…reeee.

“Sentivi freddo, amore? Potevi mettere un giacchino invece dell’accappatoio, che è ancora bagnato”, dice mia moglie, togliendomi con una mano l’assassino dalle spalle mentre con l’altra si copre un legittimo sbadiglio.

Strane cose accadono alle mie spalle.

Sthepezz (Conte27513375) per tantipensieri.it

(immagine dell’autore)

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