Ci sono fatti curiosi che balzano agli onori della cronaca periodicamente; nel giro di qualche settimana si moltiplicano, fino a farci preoccupare per l’insolita frequenza in tempi così ridotti, per poi sparire nel nulla e tornare identici qualche tempo dopo.
Il postino azzannato dal cane; i TG e i quotidiani si riempiono delle disavventure di questi sfortunati lavoratori che vengono assaliti da torme di cani impazziti tutti nello stesso periodo.
I casi d’intossicazione alimentare, prima uno, poi due, infine tutto il Paese, anche con cibi o bevande differenti.
E infine…, beh, non ve lo voglio svelare ora, leggetelo di seguito.
Ricordate l’austerity?
Per i più giovani che magari non lo sanno proprio, a cavallo tra la fine del 1973 e la primavera del 1974 furono messe in atto misure eccezionali per il risparmio energetico. Fattori politico-economici internazionali determinarono una fortissima crisi petrolifera, con conseguente scarsità di petrolio (e derivati). I motivi furono:
- Aumento dei costi di trasporto petrolifero dipendente dalla chiusura del Canale di Suez, diventato impraticabile a seguito delle guerre arabo-israeliane tra il 1967 ed il 1973. Le petroliere dovevano circumnavigare il continente africano;
- Aumento delle royaltydei paesi mediorientali produttori di greggio;
- Embargo petrolifero da questi ultimi a danno di Europa e USA, alleati di Israele, a seguito della sconfitta egiziana, dopo l’attacco allo Stato ebraico nell’ottobre 1973, meglio noto come la Guerra dello Yom Kippur.
Dal 2 dicembre del 1973 fu imposto il divieto assoluto di circolazione nei giorni festivi dei mezzi privati, pena pesanti sanzioni amministrative fino ad un milione di lire (non era poco). Per gli spostamenti domenicali i cittadini ripiegarono sul trasporto pubblico, bus turistici e sull’uso della bicicletta. Erano bandite le insegne luminose animate e di grandi dimensioni. Le trasmissioni televisive Rai terminavano alle 22.45. Il telegiornale serale del Programma Nazionale, fu anticipato dalle 20.30 alle 20, orario che conserva tutt’oggi. I cinema chiudevano alle 22.
L’obbligo di ridurre la pubblica illuminazione del 40% e di tenere spente insegne e scritte pubblicitarie. Bar e ristoranti dovevano chiudere entro la mezzanotte, mentre ai locali di pubblico spettacolo veniva imposta la chiusura entro le ore 23. Allo stesso orario dovevano essere conclusi anche i programmi televisivi. La velocità sulle strade veniva limitata a 100 km/h sulle strade extraurbane e 120 km/h sulle autostrade.
Le città erano piombate in una sorta di coprifuoco, ma la domenica, oh, sì, la domenica, era la gioia dei bambini, dei vecchi, di tutti. C’erano giochi spontanei o organizzati in ogni quartiere, la gente s’incontrava, chiacchierava, anche quella che non usciva mai di casa. Era l’esplosione della socialità, quella vera, spontanea. I parchi erano pieni, come se quella mancanza di petrolio avessi innescato una sorta di rivalsa, mi levi la possibilità di muovermi, allora io mi organizzo e mi diverto.
Non circolava un’automobile, le rare era solo per trasportare qualcuno al Pronto Soccorso, ricordo la folla che si apriva per farla passare e poi si richiudeva come fosse il Mar Rosso dopo che Mosè aveva portato in salvo il suo popolo.
I miei genitori ed io andavamo una volta al mese a trovare mia nonna, in piena Maremma, un viaggio in auto di poco più di duecento chilometri. Ovviamente il giorno deputato era la domenica, per ovvie ragioni lavorative del babbo. L’austerity ci impose di cambiare le abitudini, non più partenza la domenica mattina e ritorno in serata/notte, si decise di partire dopo la cena del sabato.
Un viaggio di massimo tre ore, arrivo tassativo prima della mezzanotte; no, non era perché l’auto si sarebbe ritrasformata in zucca, da quell’ora scattavano i controlli e le severe multe. Ritorno il lunedì mattina, sveglia prestissimo, arrivo a casa in tempo per le abluzioni e via a scuola e lavoro.
Facemmo diversi viaggi in quei mesi, ma uno lo ricordo bene, oggi ci rido sopra, all’epoca meno.
Era un sabato sera di gennaio, freddo, molto freddo, partimmo alle ventuno, in perfetto orario. Sull’autostrada verso Civitavecchia iniziò a far capolino prima una leggera foschia, poi banchi di nebbia, infine finimmo dentro un’aria ovattata che ci opprimeva. Mio padre non era molto abituato a guidare con la nebbia, l’auto non disponeva di fari adatti alla circostanza, lui guidava prudente cercando di non perdere la strada, osservando le righe dipinte in terra.
A un certo punto mia madre lamentò un eccessivo calore ai piedi, mio padre tutto preso a guidare con la faccia incollata al vetro non le dette retta. I lamenti di mia madre divennero, oddio mi scottano, mio padre pensò che stesse esagerando per via del fatto che i precedenti appelli erano rimasti inascoltati.
Poi il grido, c’è fumo!
Mio padre decise che era troppo, la nebbia che circondava l’auto, il fumo che si alzava dal fondo dell’auto, mia madre che berciava, accostò nella corsia d’emergenza, voleva vederci chiaro, forse voleva solo vederci, perché fino a quel momento…
Le rare auto che ci seguivano sfrecciavano pericolosamente vicine, probabilmente neanche si erano accorte di noi fermi a lato della carreggiata. Riprendemmo la marcia, mancavano pochi chilometri per la stazione di pagamento del pedaggio.
Gli uomini che vi lavoravano furono gentilissimi, armati di torcia capirono che si era bucato il tubo di plastica trasparente del condotto del riscaldamento, bastava non accendere e tutto si sarebbe risolto. Così fu; a causa dell’acqua fuoriuscita, ora raffreddatasi, mia madre, per non avere i piedi a mollo, si trasferì nel sedile posteriore insieme a me.
Seguirono chilometri di tensione, ogni tanto mio padre chiedeva l’ora, i tempi erano stretti, noi Cerentoli eravamo troppo vicini alla mezzanotte, mancava un’ora e non avevamo ancora percorso che un terzo della strada.
Ci fermammo ad una stazione di servizio, io e mio padre scendemmo, telefonammo agli zii dicendo che saremmo arrivati appena in tempo, che ci dispiaceva farli restare alzati così fino a tardi (il telefono era quello a gettoni, sia chiaro), andammo in bagno, io uscii prima, incontrai mia madre che camminava per sgranchirsi le gambe, le feci compagnia in attesa di mio padre, che…
Uscì dall’edificio, salì al posto di guida, accese e partì, sotto lo sguardo attonito di mia madre e il mio, accennai a una corsa solo quando vidi l’auto partire a razzo, per poi sparire nella nebbia della SS1 Aurelia.
Ci guardammo perplessi, ci dicemmo che sicuramente stava provando l’auto, anche se provarla perché il riscaldamento non funzionava non era proprio un’idea utile, ma ci servì come alibi per non amareggiarci troppo.
Passarono i minuti, prima cinque, poi dieci, poi venti. Non avevamo con noi neanche denaro, la borsa di mia madre, mi vedevo già a dormire tra i campi, in mezzo ai lupi. Finalmente dopo mezz’ora vedemmo l’auto rientrare nello spiazzo del benzinaio.
Mio padre, che in quel momento volevo uccidere, stava ridendo come un matto, dicendoci che se non ci avesse chiesto che ore fossero non si sarebbe accorto che non c’eravamo. Che tutto è bene quel che finisce bene, che in fondo non era successo nulla, che vuoi che sia attendere alle ventitre da soli su di un piazzale di una stazione di servizio nel nulla appena qualche minuto.
Ecco, non finimmo sui giornali e sui TG solo perché all’epoca c’erano cose più serie da narrare.
Per concludere vi dirò che arrivammo poco dopo la mezzanotte, la nebbia era poi sparita, gli ultimi chilometri percorsi con la paura di essere sorpresi da qualche pattuglia della Polizia Stradale, ma andò bene.
P.S.: a mia madre il muso per questa storia non passò velocemente come a me; io il lunedì già mi divertivo con i miei amici. Forse non le passò mai, perché poi quando doveva rimproverarlo (anche a torto, le moglie lo devono fare), gli rinfacciava sempre la vicenda dell’abbandono. E la discussione finiva lì, vinceva sempre lei.
Sthepezz per @tantipensieri
Immagine dal web