Di fretta. Ore 9,55. Entro in stazione, consapevole che tra qualche minuto parte il mio. Ed è importante, accidenti.
Non posso perderlo, devo raggiungere Milano, mi aspettano! Quasi l’occasione della mia vita. Corro sul marciapiedi, trafelato, incurante di chi mi guarda incuriosito, sorridendo. Impreco, farfugliando tra me e me disperati bisillabi. «Eccomi, aspetti, non chiudaa!!!» ammonisco severamente il capotreno che mi sta guardando, a sua volta, con occhi severi.
Un balzo e… eccomi salito. Mi fermo a sistemarmi un po’, prima di entrare nella carrozza e accomodarmi. Controllo il biglietto, posto n. 84A, lato finestrino.
Non mi guarda quasi nessuno (meno male…), così conciato e sudato, mentre continuo a ricompormi cercando di raggiungere, senza cadere, il mio posto. Giovani assorti nel loro cellulare, anziani aggrappati ai propri ricordi osservando il vuoto, donne e uomini lavoratori che discorrono del più e del meno, c’è anche chi approfitta per sfogliare l’ultimo libro tenuto in borsa chissà da quando.
Osservo il posto ove sto per sedermi. Accanto c’è lei, tanto più giovane di me, con un cenno di saluto le chiedo gentilmente permesso, facendo attenzione a non urtarla. Mi accomodo, sistemando la 24ore sull’apposito ripiano. Mi guarda, sorridendo e facendo altro spazio per favorire me che goffamente cerco di sedermi ed evitando che così possa rovinosamente caderle addosso.
Un po’ arrossisco, insolitamente, non mi capita da parecchio, ma in quel suo sguardo c’è qualcosa di curioso. Sarà una studentessa, forse, quasi alla fine dei suoi studi, o magari una pendolare, divertita dalla mia apparizione buffa di stamani, tutto ansimante e sudato. M’imbarazzo ma corrispondo al suo sguardo. Certo è che vi è qualcosa di magico, in quegli occhi intelligenti, di un azzurro vivo. Mi accomodo meglio, mettendomi a mio agio. Mi sa che inizieremo a parlare un po’, lungo il viaggio. Sento che è una donna a modo, sprigiona dai suoi lineamenti un certo ché di rassicurante, tiene tra le mani un libro, sprizza affabilità, si potrà parlare, credo. Il tragitto verso Milano sarà lungo…
Mi sciolgo: «Mi scusi, di che libro si tratta?» le chiedo, mentre osservo il colore della sua copertina che mi ricorda quella di qualche libro che mi pare di aver già letto.
Aspetto assonnata che arrivi il treno al binario. L’aria fresca di questa mattina primaverile gioca coi miei capelli. Rabbrividisco appena. Sorseggio un caffè piuttosto slavato dal bicchierino di carta troppo piccolo. Sono le 6, il sole sta sorgendo oltre la stazione sporcando di luce l’intorno. Persone che corrono trafelate per paura di essere in ritardo, altre che arrivano dopo una notte movimentata, mamme che prendono per mano i loro bimbi, studenti pronti per un nuovo corso all’università. Sorrido appena pensando che fino a un paio di mesi fa ero anch’io come loro. L’annuncio del mio treno mi riporta al presente. Finalmente salgo e cerco il mio posto. Mi accoccolo sul sedile, accavallo le gambe e apro la borsa in cerca del libro che mi terrà compagnia nel tragitto. Sfoglio le pagine per sentirne ancora una volta il profumo, il treno lascia la stazione accelerando e riprendo la mia lettura dove l’avevo interrotta. Ogni tanto i miei occhi si distraggono perdendosi nel mondo che scorre fuori dal finestrino. Adoro viaggiare seduta in senso contrario rispetto alla direzione: lo sguardo rivolto a ciò che è stato, mentre la vita mi porta in quel futuro che non posso ancora vedere. E io mi allontano da tutto per cercare di avvicinarmi a me.
Sono quasi le 10 quando arriva qualcuno che mi si deve sedere accanto. Sollevo la testa dal libro, non mi ero accorta che ci fossimo fermati di nuovo. Appena metto a fuoco la sua imponente figura, lo vedo un signore elegante. Ha l’espressione soddisfatta di chi è riuscito a salire appena in tempo. Sistema la valigetta nel portabagagli. Mi sorride, sembra gentile. Mi sposto per lasciarlo passare. Sedendosi si allenta il nodo alla cravatta e mi osserva, mi indaga, pare in cerca di dettagli che gli facciano decidere se rivolgermi la parola. Un po’ mi imbarazza: forse mi sono macchiata col caffè, ho qualcosa tra i capelli o il mascara sbavato. Decido di non farci caso e tornare alle mie pagine.
«Mi scusi, di che libro si tratta?» mi chiede interessato alla copertina. Ha una voce simpatica.
«Anna Karènina» gli rispondo mentre il treno sferraglia verso la prossima meta.
«L’attesa dell’incontro inaspettato, tutto si univa nella generale impressione di un gioioso sentimento di vita»
L.Tolstoj, Anna Karènina, Milano, BUR, 2015, pag. 377
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