Io i sogni non li ricordo mai, appena sveglio solo qualche frammento, quindi non so proprio quanto sogni o se, piuttosto, non saperlo mi porti a inventarli.
In compenso lo faccio molto, anche troppo, a occhi aperti.
Però una volta ho fatto un sogno bellissimo, e me lo sono ricordato anche. Con nitidezza, tutto, con particolari e dialoghi. Soprattutto ricordo il benessere che ho provato al risveglio e quello che provo quando ci (ri)penso. E lo faccio spesso, lo lascio scorrere, come fosse un film, ogni volta che sono triste, giù di morale o ho bisogno di una spinta.
L’ho rivisto così tante volte (ora ne parlo veramente come fosse una pellicola) che c’è il rischio che io l’abbia arricchito di qualche particolare o avessi rimontato anche le scene tagliate; insomma, rischio di farvi vedere la versione director cut.
Bando alle ciance, passiamo alla visione. Avete tutto? Popcorn e coca cola?
Come un novello Dante, senza il mio Virgilio, mi sono ritrovato in Paradiso.
Per capire che era veramente il Paradiso non è stato difficile; ero in piedi su di una nuvola e questo aveva già qualcosa di magico, intorno a me solo cielo e altre nubi, sotto di me non vedevo nulla, avvolto l’universo da quella coltre che a volte oscura il sole.
Un uomo anziano, barbuto e semi pelato, con una tunica candida, mi è venuto incontro, apparendo dal nulla.
- Sono lì, mi ha detto, indicando più avanti.
Mi sono inoltrato nella direzione proposta e all’improvviso ecco, erano lì, in tre file, ognuna composta da molte persone, molti volti noti di cui non ricordavo dove li avessi incontrati.
Loro erano in prima fila, seduti al centro, sorridenti. I miei nonni.
Quelli che non avevo mai conosciuto, quelli amati per averli sentiti raccontare mille volte da mio padre e dai suoi fratelli, teneri con i figli, duri con e nella vita che era stata dura con loro.
Sorridevano, lei con dolcezza infinita, lui con l’aspetto burbero reso morbido dai baffi a manubrio.
- Ve lo avevo detto che sarebbe arrivato, ha detto la nonna, volgendo il capo prima verso lo sposo poi verso gli altri.
- Vero, hanno risposto in coro parte di loro.
- Vieni, cocco, vieni da nonna tua che non ti ha mai abbracciato.
Mi sono avvicinato, inginocchiato, ho poggiato il capo sulle sue gambe mentre lei mi accarezzava la testa. Ho sentito poi una manata sulla spalla, era il modo contadino di mio nonno di dirmi che era felice di aver conosciuto l’ennesimo nipote.
Poi mia nonna si è voltata alla sua destra rivolgendosi all’uomo seduto accanto a sé.
- Messer Leo, lui è un ragazzo tanto intelligente, lei lo avrebbe preso a bottega, ha doti artistiche. È polivalente, proprio come lei, le avrebbe preparato i colori, aiutato a portare le tele e sperimentare quelle macchine che a le piacevano tanto. Magari avrebbe potuto anche accompagnarla e tenere compagnia a Monna Lisa.
- Certamente, Madonna, suo nipote lo avrei preso di sicuro con me, è una garanzia che sia sangue del suo sangue. Ma sappia, la Monna Lisa Gherardini non è la moglie di Francesco del Giocondo. O meglio, lo era, ma non è la donna ritratta.
- Ah, no?, ho osato io.
- No, caro, si è trattato di un grande equivoco. Lei è Cecilia Gallerani, giovane amante di Ludovico il Moro. Mi diverto molto quando la chiamano Monna Lisa ma Cecilia no, fattelo dire da lei, conclude Leonardo da Vinci, indicandomi una donna identica a quella del capolavoro.
- Sì. Ho molta (r)abbia, all’epoca e(r)a meglio che la mia ve(r)a identità (r)estasse nascosta, ma o(r)a, passati tanti secoli mi spiace non esse(r)e (r)iconosciuta.
- Questo è un duro colpo per gli studiosi, dico io.
- Neanche tanto, si divertono almeno, ridacchia Leonardo.
- Maestro, qual è per lei la cosa migliore che ha fatto? La Monna Lisa, le macchine volanti, le macchine da guerra?
- Il girarrosto.
- Cosa?, replico stupito.
- Il girarrosto, quello automatico, che non devi star lì ore a girare a mano, è la cosa più utile che io abbia mai inventato, ma non la ricorda nessuno.
Perplesso mi chiedo se lo sappiano nelle rosticcerie che Leonardo… Bah!
Poi mia nonna si gira di nuovo, volge lo sguardo a un signore scapigliato e con la barba scura, un bell’uomo che mi sembra di conoscere.
- Lo sai che è un tuo ammiratore? Che va in giro a cercare i tuoi capolavori?
- Me lo avete detto.
Il Caravaggio, non ci posso credere, uguale uguale a quello raffigurato nelle banconote di quando ero piccolo, le centomila lire. Con quel pizzo e quei baffi, con le maniche della camicia strette ai polsi ma vaporose, il gilet macchiato di colore (possono continuare a dipingere anche qui?). Lo immaginavo più in purgatorio, a espiare per le colpe, puttaniere, giocatore d’azzardo, attaccabrighe e omicida (per difesa). Forse il Signore ha un criterio diverso dagli uomini, forse Lui ha il criterio, per giudicare i buoni e i cattivi.
- Maestro, secondo lei…
- Non chiamarmi Maestro, giovane, io sono solo un mediocre pittore.
- A parte la facevo più consapevole delle sue capacità, lei è semplicemente geniale, io quando posso rivedo mille volte le cose che ci ha lasciato, per scoprire nuovi particolari, per gioire della bellezza che ci ha donato.
- Macché donato e donato, me l’hanno estorte, se fosse stato per me… Avevo solo bisogno di soldi, per giocare, bere e per conquistare le donne, perché mio caro, non è che venissero con me perché ero bravo o bello, forse qualcun, principalmente per i regali, per le cose che facevo loro vedere, e ci siamo capiti… Molte erano povere, la maggior parte di loro, le facevo lavorare come modelle, così potevano sfamare la famiglia. Poi c’erano le nobili, quelle sì, più puttane di quelle che lo facevano per campare, che facevano a gara a chi mi portava a letto, e io le soddisfacevo con il mio pennellone, non per niente era una bestia, mica come quei paperi dei mariti, sapessi che sconcezze sussurravo al loro orecchio mentre…, capito? Mi ricompensavano, elevandomi alla stregua delle donne che io frequentavo per amore. Che onore, quelle sì che erano femmine, non quelle megere truccate e imbellettate che non si lavavano mai.
- Comunque lei ha vissuto…
- Ho vissuto come volevo, ho un solo rimpianto, quello di non essere riuscito a vivere più a lungo per portare a termine la mia missione.
- Avrebbe rivoluzionato la pittura?, chiedo timido.
- Macché, avrei voluto recuperare il San Giovanni Battista, per farmi perdonare dal Borghese, per farmi restituire la libertà dopo la condanna a morte. Lo dipinsi come un Buon Pastore che chiede allo Scipione Borghese, pastore della Chiesa, di perdonarmi; mi ero rappresentato come una pecorella smarrita che torna alla vite eucaristica. Dannazione!
La nonna mi guardava, come se non mi avesse mai visto prima, in effetti è così; poi mi indica lui, con quella zazzera e bianca e quei baffi, impossibile non riconoscerlo.
- Professore – gli rivolgo la parola deferente, sentendomi un completo scemo -, quassù è più vicino all’infinito che lei ha magnificamente descritto.
- Che dici?, ho sbagliato tutto, non avevo considerato l’imponderabile.
- Quale imponderabile?
- La finitezza dell’Universo, ho scoperto qui che è finito, che è come un set cinematografico, come in quel film con quell’attore scemo, non è vero che è in espansione continua, non è vero che c’è stato un Big Bang, non è vero nulla di quel che ho detto. L’universo non esiste, esistiamo solo noi, e forse neanche noi.
- Professore, ma che dite?, mentre perplesso gli rispondo vedo mio nonno che gira un dito verso l’alto, a dirmi non ci far caso è un po’ suonato.
- E=mc2, ma di cosa? Dovevo scrivere E=Ø o E=unpardepalle, vedetela voi che venite dopo.
- Vabbè, solo questo sono riuscito a dire.
Abbassando lo sguardo, vedo mia nonna che mi fa segno di avvicinarmi.
Mi siedo davanti a lei e a mio nonno, prendo loro le mani, sono belli, sono felici, sembra che esista davvero la grazia di Dio, anche se io non ci credo, non credo in un Dio unico, credo in…, non lo so più in cosa credere, forse nell’amore di chi ti vuole bene, forse quello è il vero Dio che esiste.
- Messere, ha visto il mio capolavoro?, mi dice un vecchio con una bella barba lunga e riccia, come lo sono i suoi capelli ancora castani, una fronte spaziosa e rugosa da uomo che ha visto molto e sopportato tanto.
- La Cappella Sistina?, oso chiedere, indeciso tra i suoi mille capolavori.
- Ma no, messere, la Pietà Rondanini, come la chiamate voi.
- Ah, quella che ha lasciato incompleta.
- Incompleta? Scherza Messere?
- Ma… così dicono.
- Dicono male, quella è completissima, perché in maturità ho capito che un dolore del genere, quello della madre che perde il proprio figlio è la cosa più disumana che esista. E non c’è alcuno bisogno di dirlo con i dettagli, come feci con la prima Pietà, tutto dev’esser sfumato, sottinteso, la gente capisce, la gente sa, la gente ha paura di questo e nella propria mente finisce di scolpire la pietra.
- Maestro, questo è un concetto al quale non mi ero mai avvicinato.
- Male Messere, l’arte serve per riflettere, altrimenti quello resta un sasso rudimentalmente scolpito o una tela sporcata di colore.
Più che scolpito direi colpito e affondato, che posso dire, i grandi sono sempre quelli che pensano oltre, che esplorano cieli mai visti e non visibili, che si rattristano per le piccole e le umane cose, che le sanno rappresentare affinché chi non ha tempo per pensarci le possa cogliere con chiarezza.
- Cocco di nonna, vieni qua, è quasi ora che tu vada. Fatti abbracciare.
- Nonna, nonno, è stato bello vedervi, mi sarebbe piaciuto avervi vissuto.
- Avrai tempo, quando sarai qui, tardi, tanto tardi.
- Ci vedremo quindi un giorno?
- Certo, e io sarò sempre la tua nonna, ti farò giocare, ti preparerò la merenda, ti farò mettere la maglia di lana nelle giornate fredde…
- Ma nonna, qui fa freddo?
- No cocco, ma sai che le nonne quello devono dire!
- Mi siete mancati molto.
- Anche tu, tesoro.
Ecco, io il Paradiso me lo immagino così, dove tutti sono amici, lo sconosciuto accanto all’anima illustre, dove tutti disquisiscono di tutto, dove i nodi vengono sciolti, dove capiamo le verità dell’universo, svelate appena ci mettiamo piede, che sia il Paradiso cattolico o come si chiama in ciascuna delle fedi o filosofie conosciute o passate.
Dove tutti sono mostruosamente eruditi, dove si possa parlare con gli angeli da pari a pari, una specie di quel luogo descritto meravigliosamente da Borges in Oral, le visioni di quel filosofo mistico che era Swedenborg.
Mah, intanto svegliamoci, godiamoci questo inferno che è la vita, una vita con sprazzi di felicità, di serenità, di calma.
Aspettate, non alzatevi, non è finito. Godetevi i titoli di coda, dopo c’è una sorpresa.
[Titoli di coda che scorrono]
Ecco, pensavate, invece vi stavate perdendo me che sprofondo nella nuvola e mi ritrovo sul pavimento vicino al letto (devono mettere a punto meglio questa tecnologia), ho battuto la testa, ho male a un fianco, perdo copiosamente sangue dal naso e non ho potuto salutare i nonni e tutti gli altri.
FINE
P.S.: Beh, sarà per la prossima volta, ogni bel film (ma poi vi è piaciuto?) ha bisogno di un sequel. Tranquilli, non mi son fatto male, era solo una finzione e tanto pomodoro, nei sogni non ci si fa male, solo nella vita reale.
Ah, dimenticavo, lasciate gli occhialini 3D nell’apposito contenitore posto all’uscita della sala, non fate i furbi!
By Sthepezz @Conte27513375
(immagine dal web)