La macchina sfrecciava in tangenziale a gran velocità. Si era stupito di quanta gente ci fosse a quell’ ora di notte, pensava di vedere solo qualche altra auto in viaggio, non era il week end e non pensava di trovare traffico nel mezzo della settimana ma, a quanto pare, le sue valutazioni erano sbagliate.
Il rumore proveniente dal portabagagli gli ricordò che non era solo e soprattutto che la sua vittima era ancora viva. Con un gesto di stizza colpì il volante con la mano destra, aveva commesso un errore, non si era assicurato che fosse morta perché era convinto di averla uccisa ed ora, questa sua negligenza, poteva costargli la libertà; se qualcosa fosse andato storto, avrebbe trascorso il resto della sua vita in prigione. Sussultò al solo pensiero soprattutto perché, pochi minuti prima, aveva scorto in lontananza la macchina della polizia, ferma per un posto di blocco lungo la strada ma, per fortuna, non era stato fermato. Si sentì nervoso e pigiò ancora di più il piede sull’acceleratore.
Prima sarebbe arrivato al rifugio, prima quella storia sarebbe rimasta solo un brutto ricordo.
Gli dispiaceva per Sally, era stata una buona amica, ma proprio come Gemma e Lena, avrebbe fatto la stessa fine, non poteva lasciarla in vita, si era imposto di fare cosi e doveva rispettare il suo protocollo.
Sceglieva bene le sue vittime, le studiava per giorni e le adescava conquistando la loro fiducia, infine le uccideva; erano tutte di famiglie disagiate, donne provenienti da realtà dolorose come quella della droga o della prostituzione, le famiglie non avevano la possibilità economica di mantenere accesi i riflettori sulla scomparsa di una loro cara, né a qualcuno interessava scoprire come e perché fosse scomparsa una prostituta o una drogata, perciò nessuno lo avrebbe scoperto.
Le avrebbe eliminate tutte, una dopo l’altra, non doveva avere pietà, era necessario agire così.
Il suo rifugio gli dava sicurezza, in quei 30 mq poteva dare libero sfogo ai suoi pensieri, essere se stesso senza nascondersi dietro ad una maschera ed indossare i panni di impiegato modello che, in realtà, gli stavano troppo stretti. Il rifugio era una casetta disabitata ed abbandonata nel mezzo della montagna, intorno c’erano solo alberi, era nascosta per bene e solo per puro caso l’aveva trovata e se n’era impossessato. C’era solo una stanza con un vecchio tavolo ed una sedia pieghevole portati da lui mentre una branda arrugginita con un materasso, dal quale fuoriusciva una molla, erano posizionati lungo la parete adiacente alla porta d’entrata. Completava l’arredamento un piccolo mobiletto dove c’era cibo in scatola, che gli serviva per placare gli attacchi di fame che lo assalivano all’improvviso, ed un camino. Nella stanza accanto c’era un piccolo bagno con un wc pieno di incrostazioni ed un piccolo lavandino. Non era affatto confortevole ma per lui quel rifugio era una reggia.
Pensare lo aiutò ad ingannare il tempo, infatti si accorse di essere arrivato, parcheggiò l’auto e scese.
Si recò sul retro della macchina ed aprì il portabagagli. Sally respirava piano e a fatica, il respiro malapena udibile. Aveva il volto coperto dal sangue per le percosse ricevute, l’aveva messa in un sacco di juta lasciato aperto perché convinto che fosse morta. Avvicinò il viso al suo, le accarezzò il viso con la mano sinistra e poi le chiuse il naso mentre con la destra le tappò la bocca, la povera ragazza cercò resistergli ma inutilmente perchè era troppo debole. Smise di respirare subito, lui si chinò su di lei ancora di più, la baciò sulle labbra e la chiuse bene nel sacco che poi buttò a terra.
Quello era il momento più brutto, seppellire le sue vittime e piangere per loro. Si piangere, perché lui non era un mostro, soffriva quando le seppelliva, perciò le baciava ma, nonostante tutto, non riusciva a smettere questo suo rituale, non era colpa sua perchè ci aveva provato ma senza esito positivo. Trascinò il sacco fino alla buca che aveva scavato due giorni prima e, dopo averlo gettato nella fossa, prese la pala appoggiata all’albero e iniziò a riempirla. Quando ebbe finito portò la pala in casa, aveva le mani ghiacciate nonostante i guanti perché faceva troppo freddo.
Nel rifugio non c’era il riscaldamento e, se in estate era confortevole per la frescura, in inverno era impossibile viverci perciò evitava di dormire lì ma quella sera era molto stanco, senza penarci molto, si buttò sul materasso e si addormentò.
Si svegliò all’alba a causa del freddo, non sentiva più le gambe né le braccia, cercò di raggomitolarsi nella coperta che aveva lì ma non bastava, era stata una cattiva idea restare a dormire lì. Imprecò contro se stesso e si mise a sedere, aveva sonno tanto sonno, era stanco perchè Sally, anche se piccolina di statura, si era difesa con tutta le sue forze, forse era quella che aveva combattuto di più.
Gemma era una prostituta alla quale aveva promesso una vita migliore, si fidava di lui perciò non aveva esitato a seguirlo quando lui le aveva chiesto di salire in macchina. In realtà invece di portarla al solito posto l’aveva portata in una strada buia e soffocandola con le mani, Gemma aveva provato a liberarsi ma la sua stretta era forte e si era arresa quasi subito.
Lena invece era una tossicodipendente che aveva conosciuto una sera perché gli aveva cercato dei soldi e lui gliene aveva dati molti di più. Lena era stata portata al rifugio con la promessa di una dose invece l’aveva annegata nel lavandino, anche in quel caso la vittima si era arresa subito, aveva capito che non avrebbe scampato il pericolo.
Sally era un’altra tossicodipendente che aveva conosciuto perché amica di Lena. L’aveva contattata qualche giorno dopo l’omicidio per scoprire le voci che si giravano sulla sua scomparsa ma, come aveva previsto, nessuno aveva immaginato ad un omicidio piuttosto alla fuga della ragazza come aveva già fatto in passato. Sally era orfana, ed entrava e usciva dalla comunità. Anche a lei aveva promesso una dose invece l’aveva massacrata di botte. La sua scomparsa sarebbe passata inosservata ugualmente.
Decise di ripartire per la città , ormai era sveglio e comunque il freddo non lo avrebbe lasciato dormire. Si recò in bagno per sciacquarsi il viso prima di rimettersi in viaggio. Aveva già in mente la sua prossima vittima, una ragazzina destinata ai servizi sociali per aver commesso qualche marachella, nessuna famiglia alle spalle, praticamente il suo bersaglio ideale.
Canticchiando lasciò il suo rifugio e prese la macchina.
Erano le 10 di mattina quando la incontrò al bar del paese. “Ciao Miranda” la salutò per catturare la sua attenzione. “Ciao, mi offri la colazione? Stavo proprio aspettando te perchè sei sempre così gentile”. “Certo” le rispose con sorriso. Ordinò una brioche e un succo mentre lui solo un caffè. Divorata la colazione lei gli chiese un passaggio: “Devo andare da alcuni amici, mi accompagni alla fermata dell’auto? Sei di passaggio”? Lui acconsentì con la testa e, dopo aver pagato il conto, la accompagnò alla fermata del bus. “Quanto tempo sei via”? “Solo qualche giorno, lunedì prossimo inizio il mio lavoro al canale, perciò sabato sera sarò di nuovo qui per le 18, prendo l’ultimo bus che parte. Grazie per il passaggio, spero di rivederti presto”, d’impulso lo baciò sulla guancia e scese.
La vide allontanarsi e pensò che l’avrebbe rivista prima di quanto lei pensasse e sicuramente non avrebbe mai iniziato il lavoro al canile ma avrebbe fatto compagnia a Lena, Gemma e Sally.
Ingranò la marcia e partì.
Erano le 17:30 di sabato, era alla fermata del bus da un po’ perchè non voleva perdere l’occasione di incontrare Miranda e temeva che avesse anticipato la partenza, invece alle 18 vide il bus arrivare. Scesero alcune persone e lei fu la penultima. Fece finta di leggere sulla panchina sperando che lo vedesse lei, voleva che l’incontro apparisse causale. “Guarda chi si rivede”, esclamò la ragazza con la solita solarità mentre gli passava accanto. Fece finta di stupirsi alzando la testa dal giornale. “Io vengo sempre qui”, si giustificò lui. “Allora ti scrocco un passaggio”, esordì. “Certo, non ho impegni anzi, se vuoi ti offro una pizza da asporto”. Alla ragazza si illuminarono gli occhi. “Si accetto, non la mangio da una vita, costa troppo! Dove hai la macchina?” Parcheggiata lì, le disse indicando una strada secondaria.
Miranda aveva le 2 pizze sulle gambe e ne respirava il profumo. “Non mangio una capricciosa da non so quanto mesi, non vedo l’ora di arrivare all’istituto, le altre ragazze moriranno d’invidia”, asserì soddisfatta. “Veramente io avevo pensato di mangiare la pizza con te in un posticino tranquillo” le disse lui avviando il motore. “Preferisco tornare in istituto perchè sono molto stanca”, sbadigliò la ragazza. Lui non disse nulla ma lei si accorse che avevano preso un’altra strada. “Non mi hai sentito? Sono stanca, ti ringrazio per la pizza ma insieme la mangeremo un’altra volta”. Lui ancora non rispose ma le accarezzo il ginocchio con la punta delle dita.
Miranda iniziò a sentirsi agitata quando vide che la stavano percorrendo una strada buia, dove non c’era nemmeno un’ abitazione e si stavano allontanando dalla città. “Dove mi stai portando”? chiese per mascherare la paura facendo finta di nulla. Lui si girò e le rispose con voce spenta: “Non ho voglia di parlare”, continuò a guidare in silenzio. Miranda lo guardò con occhi spaventata, non le sembrava più il solito ragazzo allegro e premuroso ma un’altra persona, si pentì di aver accettato il suo passaggio, la pizza e di essere salita in macchina con lui. Voleva scappare, voleva scendere da quell’auto e allontanarsi ma non sapeva in che modo poteva riuscirci, era intrappolata. Si rannicchiò sul sedile con le pizze sempre in grembo ma di cui non sentiva più il profumo e anche la voglia di gustarla le era passata, la paura aveva preso il sopravvento.
Lui di tanto in tanto la guardava, si era accorto che Miranda aveva paura e questo non gli faceva altro che piacere, più le vedeva spaventate e più si divertiva. Di sicuro aveva notato il suo cambiamento ma la sua vera persona era quella presente ora in macchina e non il ragazzo sorridente e spensierato che sembrava. Non vedeva l’ora di arrivare al rifugio, stava pensando se ucciderla prima o dopo la pizza quando la ragazza gli si gettò addosso cercando di afferrare il manubrio e facendolo andare fuori strada. L’impatto contro un albero fu così forte che entrambi persero i sensi.
Aveva il sapore del sangue in bocca e gli sembrava di soffocare, la sensazione era cosi brutta che sii destò di colpo. Si mise a sedere e sputò a terra, vide il sangue e si toccò la faccia. Sentiva il viso gonfio e tumefatto perché gli faceva male appena lo sfiorava. Si guardò intorno e si accorse di essere in una stanza senza finestre che non aveva mai visto, si alzò a fatica e si diresse verso la porta, sul muro c’era l’impronta di una mano insanguinata, si spaventò ma prese coraggio e provò ad aprirla, era chiusa a chiave. Si recò nella stanza accanto ma vide che c’era solo un bagnetto con un piccolo finestrino ma era troppo in alto, impossibile uscire da lì. Miranda decise di sedersi perché le doleva la testa, iniziò a ricordare che era in macchina con l’uomo che credeva suo amico e avevano preso delle pizze, poi l’incidente e il risveglio lì. Avrebbe voluto distendersi ma preferiva restare sul pavimento che coricarsi su quell’unico materasso presente sudicio e maleodorante. Si sentiva debole e senza forze, cercò con lo sguardo qualcosa con cui difendersi ma non vedeva nessun oggetto utile.
Scoppiò a piangere quando sentì la chiave girare nella toppa. Smise all’istante e raddrizzò le spalle, lo vide entrare e si accorse che zoppicava, aveva le mani e un asciugamano, sistemata alla meglio sulla testa, impregnate di sangue.
Miranda pensò che sicuramente aveva una ferita alla testa e aveva cercato di bloccare l’emorragia, questo per lei era un vantaggio perchè in condizioni fisiche normali dubitava che sarebbe uscita viva da quel posto. L’aveva vista sveglia ma non disse una parola e lei fece altrettanto per timore di scatenare la sua ira. Si avvicinò al mobiletto dove aveva i viveri e aprì una scatoletta di tonno che mangiò con le dita incurante dell’olio che colava sporcandogli i pantaloni.
Miranda scatto di corsa verso la porta e la spalancò cercando di fuggire ma lui fu piu’ veloce, la prese per i capelli e la tirò indietro chiudendo di nuovo la porta. La scaraventò verso il tavolo, un dolore lancinante le fece venire il vomito perchè aveva sbattuto il naso, si toccò d’istinto le mani al volto e le vide sporche di sangue. Iniziò a piangere, lui la prese di nuovo per i capelli scaraventandola a terra. Si avvicino a lei, non lo riconosceva, aveva uno sguardo carico d’odio.
“Che ti succede? Non ti ho mai visto così”, riuscì a mormorare trai singhiozzi.”Cosa ti ho fatto per meritarmi questo”?”
Lui la guardò senza cambiare espressione ma non rispose. Era troppo stanca, non si sentiva bene, aveva capito che era arrivata la sua fine perciò aveva deciso di smettere di lottare, non sarebbe riuscita ad avere la meglio, era troppo esile troppo debole. Chiuse gli occhi quando lo vide avvicinarsi, sentì le sue mani sul collo, non riusciva quasi più a respirare, d’istinto mosse la mano sul pavimento e quando si accorse di aver preso qualcosa fece un ultimo tentativo di difesa, colpendolo anche se in un punto ben preciso.
All’improvviso la stretta diminuì e lo vide portarsi le mani sul volto, il sangue cadeva sul pavimento a fontanella. Lei iniziò a tossire perchè le mancava il respiro, vide che lo aveva colpito con il coperchio della scatoletta di tonno e si accorse di avere anche lei la mano ferita. Senza esitare gli si scaraventò contro colpendolo di nuovo sull’altra parte del volto, e poi di nuovo sulle braccia, la smise quando si accorse che ormai la sua arma era inutilizzabile perchè piegata in malo modo.
Lo guardava barcollare, della belva feroce non aveva più nulla, aveva perso molto sangue e di sicuro ciò lo aveva indebolito.
Fuggì di corsa, l’aria aperta le dava la forza di scappare, scappare via da quel mostro, scappare via da quel tugurio. Trovò la strada e si bloccò, non sapeva dove andare, guardava a destra e a sinistra, aveva la mente offuscata. Sentì una mano sulla spalla, iniziò ad urlare e a svincolarsi, la paura si impossessò di nuovo di lei, poi sentì una voce: “Cosa le succede sta male”? Guardò chi le aveva rivolta la parola, era un uomo sui 50 anni, con la barba e i baffi, accanto a lui una donna. “Cosa le succede”? incalzò la donna. “Sono stata aggredita”, riuscì solo a dire e svenne.
Quando si risvegliò, si sentì intubata e piena di medicazioni, respirava a fatica ma respirava. Si guardò intorno e capì di essere in ospedale, troppo stanca per pensare oltre chiuse gli occhi.
Si risvegliò che era buio, si accorse che qualcuno le teneva la mano. Era la direttrice dell’istituto dove alloggiava che quando la vide muovere le si avvicinò: ” Stai tranquilla Miranda, ci sono io qui”, mentre le parlava le accarezzava i capelli. Quante volte l’aveva odiata, quante volte avevano litigato perchè lei, incosciente come sempre, non rispettava le regole, non voleva ascoltare.
Solo in quel momento si rese conto di aver sempre sbagliato tutto nella vita, si era fidata di un mostro che stava per ucciderla e aveva sempre disprezzato chi l’amava e cercava di guidarla. Le strinse forte la mano e disse un debole:”Grazie”. Stettero alcuni secondi in silenzio, poi Miranda chiese cosa fosse successo: “Sei svenuta e i tuoi soccorritori hanno chiamato l’ambulanza e hanno detto che sei stata aggredita. Ti hanno portato qui e avevi nei pantaloni il portachiavi con lo stemma dell’istituto e mi hanno contattata. Domani quando starai meglio ci racconterai tutto”. Miranda acconsentì per la priva volta in vita sua e si lasciò cullare dalle carezze della direttrice.
7 giorni dopo fu dimessa dall’ospedale e si accorse di essere felice di tornare all’istituto, a quell’istituto che lei aveva sempre odiato e disprezzato. Passato lo shock, era stata interrogata dal commissario che, ascoltata tutta la storia, aveva ordinato che una pattuglia si recasse al rifugio.
La belva era stata ritrovata morta in una pozza di sangue nella stanza dove la colluttazione era avvenuta, inoltre gli agenti avevano ritrovato i corpi di altri giovani vittime perchè, vedendo la pala sporca di terra e la terra mossa, avevano richiesto una perquisizione. “Miranda andiamo? Ho il foglio delle dimissioni”, le disse felice la direttrice sbucando all’improvviso e sventolando il documento.
Miranda prese il borsone, la sua mano strinse quella della direttrice e disse: ” E’ proprio vero che per capire il valore di quello che si ha, si deve rischiare di perderlo”. La sua interlocutrice ricambiò la stretta e si avviarono verso l’ uscita.
The end
GViola per tanti pensieri
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