Non lo avrebbe più visto dopo la sera del loro primo appuntamento.
Se lo diedero per le 23.00 di quella giornata incominciata col caffè e col cioccolato.
L’aria era calda, la notte fonda, le luci ancora accese, il vociare della gente rumoroso e vivo.
Flavio fece fatica a trovare il baretto dove Viola aveva deciso di incontrarlo. Non era pratico delle vie lì intorno. Alla fine, però, con tanto ritardo, che a Viola parve un piccolo spazio di tempo in quel momento, arrivò.
Era incredibilmente bello, come disegnato da mano che ha gusto ed esperienza. Parlava bene, parlava di cose dell’anima e del mondo e di dolci.
Viola indossava un lungo vestito rosso, il suo solito giubbetto nero di pelle, orecchini grossi e una fascia colorata in testa. Era bellissima, o quantomeno così si sentiva. Non per un discorso estetico, solo per un modo dell’essere. Parlava di poesia, di cose dell’anima, di mostre, di amori.
Parlarono tantissimo Viola e Flavio, seduti di fronte, vicinissimi nei pensieri. Scherzarono senza scherzarsi, risero, si sorrisero. Così, in poche ore, sembrava si conoscessero da sempre. L’estraneità era lontana e anche se al mattino seguente, forse, li avrebbe di nuovo raggiunti, ora si era messa in disparte. Nessuno li avrebbe potuti disturbare: né la distanza geografica, né i figli di lui, né le passioni di lei.
Lasciarono il bar e il tavolino e si misero a camminare mano nella mano. Attraversarono su e giù la passerella che corteggiava la spiaggia, scrutavano ogni panchina, le onde avevano dato il loro benestare.
“Eccola!” – gridò Viola.
Aveva trovato la panchina perfetta, in realtà uguale a tutte le altre, in realtà diversa come tutte le cose quando ci piacciono. Prese il braccio raggiante di Flavio, lo fece sedere, si sedette sopra di lui.
E iniziarono a baciarsi, tanto, tantissimo.
“ La cosa bella delle panchine è che loro restano sempre” – pensò Viola e strinse Flavio più forte.
Più forte la baciò Flavio, convinto, come vent’anni prima, che l’amore più bello ha sempre il mare vicino.
Alessandra Corbetta