Il tango delle parole

 

Ho questo fremito lungo tutto il corpo, un misto di agitazione ed eccitamento, sorrido ed ho le mani bollenti. Vi prendo la mano, vi guardo speranzoso e vi invito a danzare un tango sulle parole. Di solito, si dà poca importanza a cosa siano in realtà le parole. Le parole sono i disegni dei suoni, una manciata di lettere che prende vita, anima. Esse ci permettono di portare fuori il nostro mondo interiore, il flusso di attenzioni che custodiamo dentro.

Nel tango, tutto inizia nel primo sguardo, perché è un racconto d’amore! Come per questa danza che non puoi fare con chiunque, ci sono alcune parole sono talmente preziose da poter essere donate esclusivamente alle persone care. Tipo: amata, tata, vita mia, papà, mamma, pensate a ti amo e mi piaci… non sono sempre agglomerati di lettere? Eh no. In questo caso sono nuvole di sentimenti, emozioni, variopinti palloncini riempiti a vita vera, quando ti toccano i sensi esplodono, come vento forte, portando in loro tutta la carica di energia che gli è stata soffiata dentro. Richiamano immagini; proprio come se al palloncino svolazzante, fosse legata una cara foto.

Devi sentire la compagna di ballo, devi capirla, anticiparla, ammaliarla, conquistarla, alternare attrazione fatale a repulsione; come le parole. Sono talmente ricettive e sensibili, che per influenzarle basta il tono e loro cambiano subito significato. Allora sono scatole da riempire con pezzi di noi, si, quando parliamo ci confezioniamo e ci doniamo al nostro interlocutore. Persino quando litighiamo, caricando questi magici contenitori d’animo umano di tutto il nostro risentimento o disappunto. Possono diventare anche taglienti, anche dei veri e propri corpi contundenti, ma loro non ci giudicano mai, loro eseguono! Come perfetti soldati innamorati della patria (che poi è la nostra mente, il nostro pensiero)

Ballando insieme bisogna prendere decisioni e scegliere dove tenere le mani, in che direzione mettere il piede… per questo c’è il si ed il no. Che potenza!! Due sole lettere a cui normalmente è legata la creazione del nostro destino. Una scelta, un intento, una decisione. Pensate solo al Si del matrimonio, a quello della richiesta del primo appuntamento oppure a quando arriva il momento di fare all’amore… Come potremmo vivere senza? Ed il No? Provate ad immaginare che senza non potremmo mai liberarci, da quello che non ci sta bene o che ci fa soffrire. I nostri piccoli avverbi (si sono avverbi opinativi, detti anche particelle affermative e negative) sono angeli custodi del nostro futuro, compagni di scelte, a volte quasi impossibili da dire, ma essenziali più dell’aria.

Mentre ti lasci andare, scorrono le emozioni e la voglia di prendere a tirare a sé la compagna, farla sentire il tuo tutto. Anche la parole a volte ti fanno: saltare, sorridere, sussultare, piangere, pensare e tutto il resto. Con le parole puoi tutto!

Non hanno mai fine, come i numeri, se ne possono inventare di nuove mischiandole o storpiandole, pensate a petaloso (si, sto ridendo, non lo dovevo dire petaloso) pensate ad Ops, fatelo piccolo piccolo, diventa Opsino, un neologismo. Pensate a trallalero o a supercalifragilisticoespiralidoso, vado matto per le parole lunghissime, sono sempre complicate ed affascinanti; mi ricordano le donne.

In molti tango c’è lo schiaffo come passo (finto eh non fatemi male), di solito per ricordare alla mente un arrabbiatura, per comunicare velocemente qualcosa di tosto come con le parolacce. Sono le prime che impari se vai in un paese straniero, quasi per sentirti parte di quel luogo, certamente per non essere preso per il naso! Ce ne sono di tantissimi tipi, alcune innoque, altre pesanti sgradevoli, concedetemelo in questa parentesi; anche po’ stronze. Ci sono quelle dei bambini, tipo scema o scemo, che dette in un contesto ridanciano a persone care, diventano quasi degli elogi all’ironia. E quelle dette con complicità sotto le coperte, che bruciano l’aria tutt’intorno. Potremmo parlarne, ore ed ore, e non mi annoierei mai. Ci sono delle volte in cui serve un bell’intercalare di rottura, per dare sapore quando: siete esasperati, vi danno una notizia sconvolgente o siete in macchina nel traffico. Niente è meglio dei nomi volgari degli organi genitali.

Forse adesso, dopo tutti questi volteggi sulle parole, ci sta una stretta con la mano sulla schiena; maschia, per far sentire la presenza, un casqué ed un quasi bacio; perché parlo dei saluti. Per esempio quello definitivo, addio, etimologicamente ti lascio nelle mani di Dio, dell’universo, quasi sempre inteso come ti lascio a Dio, perché io non posso o non voglio più curarmi di te. A me piace pensare che addio sia: lasciamo il nostro prossimo incontro nelle mani del cielo, quando vorrà, quando saremo pronti, quando è perfetto rivederci. Poi c’è il frizzante ciao, il pomposo arrivederci, il timido ma caro buongiorno che come il caffè ci sveglia. I miei preferiti sono quelli che davanti hanno una a come: a domani, a presto, a dopo… Sono speranzosi, danno idea di un contatto, odorano di futuro luminoso.

Quindi ancora tutto affannato e rapito dalla musica, lascio la vostra mano scorrendola e percependola fino all’ultimo millimetro e sperando in un prossimo tango vi dico… a presto.

@ilPhirlosofo

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(con la scusa, vi mostro un mio dipinto sull’argomento)

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