Siete mai stati in Spagna?
Sapete come in Spagna chiamano il Computer? E come chiamano il self – service?
La Spagna (ma anche altre nazioni) predilige l’uso della lingua nazionale, lo spagnolo, per definire ogni cosa.
Poi c’è l’Italia che ama e predilige l’utilizzo delle parole straniere che ormai sono entrate a far parte del dizionario comune.
L’Italia, patria di poeti e scrittori, con una lingua che è la quarta più studiata al mondo; ha dimenticato da tempo di chiamare con il nome patrio molte cose: ormai anche le persone anziane dicono “week – end” anziché “fine settimana”, “premier” invece di “primo ministro”.
Ci sono poi i neologismi prettamente anglofoni, per cui le buone vecchie vinerie sono diventate “wine bar”, la settimana della moda è diventata “fashion week”, barbieri e parrucchieri diventano “hair stylist”.
Potrei continuare all’infinito con esempi e citazioni, ma mi fermerò per affrontare un altro aspetto di questo “male” che affligge noi e la nostra lingua.
È normale che uno stato sovrano, con una lingua nazionale tra le più studiate al mondo debba chiamare le proprie leggi con nomi che non appartengono alla propria lingua e alla propria cultura; o che peggio ancora ci debbano essere ministeri appositi con nomi sempre anglofoni?
Il governo presieduto da Berlusconi aveva creato il Ministero del Welfare, fortunatamente sostituito nei governi successivi dal Ministero per le Politiche sociali, eravamo l’unico governo al mondo ad avere un ministero chiamato non con un nome non autoctono.
Poi è arrivato Renzi e ci ha portato il “Jobs Act”, che si sarebbe potuto chiamare tranquillamente “Legge sul lavoro”, ma a noi piace strafare. Adesso voi immaginate se in Gran Bretagna chiamassero una legge dello stato, chessò la legge che determina il diritto di successione al trono, “Atto di matrimonio reale” anziché “Royal Marriages Act”, il popolo non insorgerebbe e costringerebbe a cambiare il nome della legge?
Ma noi siamo italiani e ormai ci piace utilizzare queste parole perché siamo convinti di essere “cool” ovvero alla moda e di tendenza.
Un paio di anni fa Anna Maria Testa, una pubblicitaria, ha lanciato l’hastag (questa parola è davvero intraducile) #dilloinitaliano, con relativa petizione supportata dall’Accademia della Crusca.
In sostanza si chiedeva a Governo, amministrazioni pubbliche, media e imprese di utilizzare, quando è possibile, parole italiane. Certo non potremmo mai sostituire streaming o password, però potremmo dire confortevole invece di comfort e rilassante anziché relax.
Chissà se e quando ci renderemo davvero conto di quanto bella e preziosa sia la nostra lingua, la lingua che fu di Dante, Leopardi e Manzoni, tornerà a brillare di luce propria?
PS: in Spagna il computer si chiama ordenador e il self – service auto servicio, ma loro sono campanilisti, noi siamo cosmopoliti.
Raffaele Ditaranto
@lateoriadelboh